È pubblicato da Il Molo l’ultimo romanzo di Giorgio Bona, sospeso, come tratteggia nella prefazione Alessandro Defilippi, tra mistero e nostalgia. Una lettera scritta da Olga apre la strada di un viaggio a Mosca negli anni dell’immediato post comunismo, negli anni dell’illusione della Perestrojka. Per Giorgio Bona il viaggio ha inizio e basta. Nasce senza un perché chiaro ma solo per seguire una voce, forse per incontrare Olga, conosciuta un anno prima alla Biblioteca Lenin e con la quale il protagonista aveva parlato del comune senso di Bruderschaft, ovvero della sensibilità dell’anima russa.
Il viaggio diventa ben presto l’occasione per fornire uno spaccato di Russia in generale e una pennellata di Mosca in particolare, alla ricerca (e forse anche in fase) di un rinnovamento indispensabile. Il tutto visto attraverso gli occhi di chi, come sussurra Olga, non usa né snobismo né commiserazione per narrare ciò che vede. E i suoi occhi vedono anche il mistero. Anzi lo attraversano. Il mistero cresce mano a mano che il protagonista segue con sempre maggior intensità le tracce di un autore di cui non si sa più nulla. Arriva pure il morto, uno scrittore che negli anni del regime utilizzava canali clandestini con l’occidente per far circolare le opere sue e di altri scrittori, e in grado di fornire notizie uliti al nostro viaggiatore (senza nome e cognome). E il ritmo del mistero cresce con lo scorrere delle pagine. Parte un po’ in sordina per prendere via via un’andatura più rapida, un piglio più sicuro, un taglio quasi cinematografico, molto giocato sull’estraneità del turista in terra di Russia, il viaggio in treno, l’albergo, la fuga, il KGB che ci mette lo zampino, il funzionario violento. Gli ingredienti ci sono tutti.
Il cammino è ricco di minacce, ostilità. L’aria è per lui poco salubre come gli dice un funzionario che ha il compito di continuare a tenere sepolte in archivio delle notizie che invece emergono con tutta la crudezza del passato. Osteggiate da chi vuole rimanere nell’ombra di quello stesso passato.
In Erano voci, la storia è narrata senza i patemi del sensazionalismo stilistico, lontana dalla ferocia quotidiana seppur profondamente radicata nella storia del nostro passato recente. Ben concentrata sul mondo interiore dei suoi personaggi. E merita di essere letta anche solo perché è scritta bene. E perché dimostra una conoscenza della cultura russa già evidenziata nella sua opera di traduttore, per esempio in un volume di Fiabe, dai Balcani a Vladivostock (ed. Besa), una raccolta di favole tratte dalla tradizione orale dei paesi ex CCCP. Oltre alle raccolte di poesie Newton (1992) e Omaggio il tempo (2002), Giorgio Bona ha al suo attivo, sempre per Besa Editore nel 2003, la raccolta di racconti Ciao, Trotzkij.
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