Anno 2003, New York, una terribile setta satanica, uno spietato serial killer.
Sembra un film thriller americano, invece è un romanzo italiano: La croce incarnata, opera di Piergiorgio Pulisci, giovane autore alla sua prima volta editoriale.
Non è un segreto che il libro non ci abbia convinto del tutto (libri/3930), contiene alcune pecche di fondo, tipiche in parte del genere, in parte di un'opera prima.
Perché allora parlare proprio di questo romanzo e del suo autore?
Innanzitutto perché Piergiorgio ha 24 anni. E non è così comune che un ragazzo giovane riesca a pubblicare il suo primo romanzo. Solo per questo quindi merita una possibilità.
Inoltre perché è comunque giusto e doveroso offrire l'occasione di controbattere a una serie di obiezioni e critiche per avere di prima mano anche l'opinione dell'autore.
Innanzitutto benvenuto Piergiorgio, e grazie per aver accettato di partecipare. Come ti ho anticipato io farò un po' la parte del diavolo e cioè cercherò di metterti a confronto con una serie di obiezioni che possono essere mosse al tuo lavoro. Sei pronto?
Sì, grazie per l'opportunità di quest'intervista, spero che le mie risposte possano essere esaustive. Parti pure.
Partiamo dall'ambientazione. Tu sei sardo, hai sempre vissuto in Sardegna, una terra bellissima, ricca di tradizione, di storie, di spunti, di paesaggi stupendi…. Immagino che quindi tu sia legato alla realtà che ti circonda e ne subisca il fascino.
Certo. Vivo in un'isola stupenda, per certi versi un po' fuori dal mondo, nel senso che tutto sembra lontano, dato che c'è il mare che ci circonda. Questo penso però che mi abbia aiutato a volare con le ali della fantasia. Vivere in un'isola, secondo me, può avvicinarti al mondo dei libri, che considero dei biglietti per viaggi in mondi diversi dal nostro. I libri ti permettono di evadere, di oltrepassare il mare e volare fino a New York, a Parigi, a Hong Kong. Questo è stupendo.
Per quanto riguarda i legami con la mia terra, posso dire che sono solidissimi. A parte le bellissime tradizioni, le storie e i personaggi,
la Sardegna è una continua ispirazione per me. È un luogo stupendo per scrivere e per avere ispirazioni artistiche in generale.
Però il tuo romanzo è ambientato a New York. Perché la scelta di una realtà così lontana, anche chilometricamente parlando, da quella italiana in generale e da quella sarda in particolare?
Ho deciso di ambientare il romanzo negli Stati Uniti per vari motivi, alcuni puramente funzionali alla trama, altri prettamente legati al mio gusto personale. Perché gli Stati Uniti, e perché New York? Primo perché a New York c'è il più alto tasso di omicidi delle metropoli occidentali, quindi rappresenta un terreno fertilissimo per una storia thriller, secondo perché vedo gli Stati Uniti come un luogo dove tutto può accadere, anche le cose più impensabili, le più oscure, le più contorte. Tutto in questo paese è "esagerato", e io ho un debole per le esagerazioni. Quindi la summa di questi due elementi da come risultato un'ambientazione dannatamente verosimile per un libro thriller. Credo che questa simpatia per il nuovo continente derivi molto da una deformazione culturale data dal cinema e dalla letteratura americana, su cui io mi sono formato sin da quand'ero molto piccolo.
A livello più personale, ho scelto New York perché è una città che amo…
Ci sei stato?
No, non sono mai stato a New York, anche se è un sogno che vorrei realizzare prima o poi. Per familiarizzare con questa bellissima città, ho studiato video, cartine, mappe, guide turistiche; ho riletto parecchi libri ambientati a New York, ho ascoltato racconti di persone che ci sono state, ho fatto insomma una full immersion in questa metropoli per sopperire al fatto che non l'ho mai visitata di persona.
E non hai paura di esserti creato delle aspettative troppo alte? Cioè se poi ci andassi e non fosse come te la aspetti?
Penso di no. Probabilmente dovrei un po' abituarmi alla vita in una grande metropoli, ma per quanto riguarda la città in sé, io penso che sia il massimo, e me la immagino proprio così come la vedo nei film o nei romanzi.
Se riesce ad arrivarmi la sua magia attraverso le pagine di un libro, questa città dev'essere davvero qualcosa di stupendo.
Torniamo ancora all'ambientazione: tu hai deciso di ambientare a New York una storia che ha come tematica centrale quella delle sette sataniche e delle organizzazioni criminali legate a queste. Anche in Italia ci sono stati e ci sono casi di satanismo e di sette. Perché non ispirarsi a questi? Avresti forse avuto modo di documentarti meglio e in modo più semplice.
Il motivo è sempre legato alla verosimiglianza. È vero, purtroppo anche noi abbiamo avuto e abbiamo dei bruttissimi casi di cronaca nera legati al fenomeno del satanismo. Però le sette sataniche italiane sono per lo più slegate tra loro e indipendenti l’una dall’altra. Negli Stati Uniti invece hanno un'organizzazione più solida e machiavellica. Per fare un paragone un po' azzardato le sette italiane sono come dei piccoli chioschi di hamburger a conduzione familiare, mentre le sette americane sono una lobby come Mc Donald. Io avevo la necessità di parlare di una setta molto organizzata come La Croce Incarnata, che è una sorta di azienda del male.
Questo mi offre lo spunto per un'altra obiezione. Il tema che tu tratti è sicuramente crudo e la realtà di cui narri è senza dubbio violenta e estrema. Tu non hai esitato a immergerti completamente in questa narrazione: il libro è ricco di violenza, esasperato e esagerato in tanti punti. Non ti parlo solo del sangue che ci si trova, ma di una scelta un po generale di uno stile sopra le righe, forzato.
Perché questa scelta?
Ad essere sincero non lo so. Quando l'ho scritto ho calcato la mano per cercare di attirare l’attenzione della gente sul fenomeno del satanismo, che mi sembra parecchio sottovalutato, quindi spesso l'esagerazione è voluta. Per qualche strano motivo poi mi sono davvero lasciato prendere la mano, e alcune sequenze del romanzo, hanno assunto una connotazione horror/gore/action, più che thriller. Essendo un grande appassionato di cinema, penso di essere stato influenzato molto dalla direzione che stanno prendendo i thriller, i noir e gli horror di questo periodo, tipo Saw, Hostel, Sin City. Mi riferisco a una direzione oscura, molto violenta, che cerca di esplorare i territori più perversi e esasperati del male. Forse è questa la causa dell'estremizzazione del genere thriller in La Croce Incarnata.
Non ti parlo, però, solo dell’esasperazione del male. In questo romanzo anche i buoni sono troppo buoni. I protagonisti sono eroi nel senso più classico del termine: belli, dannati e tormentati, basati su solidi ideali, tanto da risultare irreali.
Non sono molto d'accordo. Vincent Cave, il protagonista, è un detective di New York che ha perso tutto a causa della setta della Croce Incarnata. Così ora la sua vita, la sua unica ragione di vita, è la vendetta. Per questo non si fa scrupoli di scavalcare la legge. Non è poi così tanto buono. Brandon Never, suo amico e collega, è più un "buono" nell'accezione più classica della tradizione letteraria e cinematografica. Io penso che oggi la gente abbia bisogno più che mai di eroi, io per primo. Per questo ho creato i miei personaggi con queste caratteristiche. Perché vorrei che esistessero persone del genere. Vorrei che i buoni facessero i buoni e vorrei che i cattivi girassero con tuniche nere e maschere mostruose, e non in completi doppiopetto di Valentino.
In generale non credi che tutti gli eccessi abbiano penalizzato la verosimiglianza e la credibilità della storia? Io per esempio leggendolo ho provato, in certi punti, una sorta di straniamento.
Non nego che il rischio esista. Bisogna ricordare che ovviamente è un romanzo di fantasia, non un saggio, quindi è chiaro che le esasperazioni e le esagerazioni vengono usate a favore della storia e non della verosimiglianza. Probabilmente ho esagerato con la violenza, sono il primo ad ammetterlo, ma questo non è necessariamente un punto a sfavore o un punto negativo. Dipende molto dai gusti del lettore e dalla sua disponibilità a calarsi in un mondo violento e brutale. Se il lettore ama i thriller oscuri e violenti, penso che troverà pane per i suoi denti in questo romanzo, se invece è un lettore che predilige thriller più tranquilli e soft e si ciba per lo più di gialli e noir, come te, probabilmente il romanzo non gli piacerà. Forse questo romanzo è più adatto a lettori a cui piacciono storie di confine tra thriller e horror.
Però a questo punto vorrei farti io una domanda: c’è qualcosa del mio libro che ti è piaciuto?
Non nego che forse non è esattamente il mio genere, io non amo l'horror e mi piace immergermi in storie che forse sento più vicine alla mia realtà. Detto questo, però, sicuramente La Croce Incarnata è molto appassionante. Sei riuscito a creare una trama ben strutturata, che mette il lettore in condizione di avere una voglia sempre più incalzante di sapere come andrà a finire. L'altra cosa che sicuramente mi ha colpito è la tematica dell'amicizia tra i due protagonisti e in particolare la fiducia incondizionata che Brandon ha per Vincent. Naturalmente Brandon è anche il mio personaggio preferito, ma a questo punto, però, ristabilirei i ruoli e ti sottopongo una nuova obiezione, che potrebbe essere fatta da un qualsiasi lettore.
Al di là del contenuto del libro, della storia raccontata e dello stile, anche l'edizione non invoglia molto a cominciare la lettura. Per me, per fare un esempio, per cui il rapporto fisico con il libro è importate, l’edizione
La Riflessione non si presenta bene. Già a un'occhiata superficiale è evidente la totale mancanza di editing e di grafica da parte dell'editore, cosa che sicuramente penalizza il romanzo. Tu cosa ne pensi?
È evidente che la veste grafica di La Croce Incarnata non sia quella dell'ultimo best seller di un qualsiasi grande editore, ma questo perché stiamo parlando di due mondi diversi dell'editoria.
La Riflessione appartiene al sottobosco della piccola e media editoria, e quindi non ha i mezzi economici per poter sostenere un'edizione accattivante e studiata nei minimi dettagli. Per questo il prezzo di copertina è alto, e il libro dal punto di vista "materiale" non è il top. Però trovo che ci sia da apprezzare il coraggio che ha avuto la casa editrice a pubblicare un libro così lungo e impegnativo dal punto di vista del numero di pagine e di investire su un autore esordiente.
Ciò lascia trasparire la fiducia dell'editore nel libro e nei miei confronti, un coraggio che probabilmente una major non avrebbe avuto.
Ho sottoposto la stessa domanda anche all'editore, che mi ha risposto in modo forse un po' freddo, ma sicuramente onesto e corretto:
Su libri di grandi dimensioni, per il lungo tempo necessario all'editing, facciamo una prima tiratura di stampa di 500 copie per poi effettuarne una seconda in modo da ripulire il testo dagli errori.
Fortunatamente le prime 500 copie di La Croce Incarnata sono già esaurite e stiamo procedendo a mettere in distribuzione la versione corretta dagli errori che erano rimasti.
Tu Piergiorgio, come sei arrivato alla pubblicazione?
Sono arrivato alla pubblicazione dopo quasi un anno dall'ultima stesura del romanzo. Ho seguito l'iter che seguono tutti gli aspiranti scrittori, spedendo il libro un po' ovunque. Tantissime case editrici non mi hanno nemmeno risposto. Alcune erano favorevoli alla pubblicazione, ma solo a patto che avessi ridotto drasticamente il numero delle pagine, cosa a cui non ho acconsentito. Alla fine la casa editrice La Riflessione mi ha risposto e, nonostante in un primo tempo mi avesse detto che un libro così grosso era impubblicabile, dopo averlo letto hanno cambiato totalmente idea e l'hanno pubblicato nel corso di pochi mesi.
Se una casa editrice più solida e meglio distribuita ti chiedesse di riprendere in mano il romanzo, di snellirlo e di renderlo più pulito e credibile, perché interessata alla pubblicazione, lo faresti?
Sarei un ipocrita a dire no... Sì, accetterei. Non perché non mi trovi bene con la mia casa editrice, ma perché vorrei fare della scrittura un lavoro vero e proprio, e quest'opportunità te la può dare solo una grande casa editrice.
Direi che l'interrogatorio è finito. Io ti ho espresso tutti i miei dubbi e tu hai avuto la possibilità di controbattere alle critiche. Visto che dici che vorresti che la scrittura fosse il tuo lavoro, immagino che avrai tanti progetti nel cassetto.
Tantissimi. La Croce Incarnata fa parte di una serie di cinque romanzi finora, tre dei quali, oltre questo edito, già conclusi. La serie comunque andrà avanti, e ho già chiaro in mente lo sviluppo della storia. I libri sono comunque slegati l'uno dall'altro, seppur i personaggi principali ritornino. Oltre questi libri thriller, ho tra le mani una raccolta di racconti drammatici e noir, un romanzo noir/hard-boiled ambientato a Cagliari, che è un vero e proprio omaggio al grande Joe R. Lansdale, e un altro romanzo drammatico ambientato nell'America del sud degli anni sessanta. Nella testa ho tantissimi progetti, che spero di poter portare presto alla luce.
Infine mi piacerebbe che tu provassi a convincere chiunque ti chiedesse un buon motivo per leggere La Croce Incarnata.
Per testare il proprio grado di sopportazione alla violenza e al male. Per conoscere cos'è il male, osservare le sue dinamiche perverse, e capire dove si annida. Il motivo più importante comunque è l'evasione. Chi ha bisogno di evadere dalla sua realtà e provare emozioni forti, troverà ne La Croce Incarnata un treno che andrà dritto dritto verso il cardiopalma. Consiglio questo libro a tutti gli stomaci forti che vogliono gustarsi un romanzo, che più che un libro è un film thriller. Un film su carta. Quando scrivevo questo romanzo sentivo la necessità di far vedere ai lettori il film che io vedevo nella mia mente. È per questo che uso uno stile molto cinematografico: per permettere ai lettori di vedere attraverso gli occhi della mia mente.
Infine chiuderei, se ti va, in modo scherzoso, provando a inventare uno slogan per il tuo libro.
L’idea mi piace, ma non è semplice. Che ne dici di "La Croce Incarnata: un autostrada a una sola corsia per la paura."?
Oppure, volendo buttarla sul ridere e salutandovi con il sorriso "Compra
La Croce Incarnata e la mia casa editrice te ne sarà grata"
Grazie Piergiorgio per esserti sottoposto a questo interrogatorio e grazie, soprattutto, per aver preso sportivamente le domande e per la voglia di non prendersi troppo sul serio che traspare soprattutto da questo finale.
Grazie a te Chiara, e in bocca al lupo per questa rubrica.
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