Con La donna della domenica, uscito nel marzo 1972 e più volte ristampato, Fruttero & Lucentini diedero un contributo determinante nel valorizzare un genere, quale il giallo, che nel panorama letterario italiano stentava a ritagliarsi un ruolo di rilievo. Anzi, per usare le parole di Andrea Pinketts, il romanzo d’esordio della coppia di scrittori torinesi segnò “il passaggio del giallo italiano dal ghetto della sottocultura ai piani alti della letteratura”. L’enorme successo di questo libro, tanto di pubblico quanto, anche se non subito, di critica (consacrato anche dalla bella trasposizione cinematografica di Luigi Comencini con un indimenticabile Marcello Mastroianni nel ruolo del commissario Santamaria), fu confermato anche dai lavori successivi, tra cui vanno ricordati A che punto è la notte, forse il capolavoro della coppia, Il palio delle contrade morte, L'amante senza fissa dimora, La verità sul caso D. Tutti romanzi caratterizzati da una scrittura elegante e discreta, con tocchi di grande ironia e leggerezza, in cui le convenzioni proprie del whodunnit vengono strumentalmente adottate per descrivere i comportamenti, i tic, le manie di una variegata umanità di provincia. Nel 2002 la coppia ha concluso la sua attività per la morte di Franco Lucentini (malato da tempo, lo scrittore si è suicidato, lanciandosi nella tromba delle scale della sua abitazione di piazza Vittorio Veneto). Ma sembra quasi che il suo spirito abbia accompagnato l’antico sodale sopravvissuto, Carlo Fruttero, nella stesura di questo Donne informate sui fatti, romanzo che per stile e ambientazione sembra a tutti gli effetti, un prolungamento del lavoro della grande coppia.
Per questa sua rentrée l’ottantenne scrittore torinese si è servito di un format molto diffuso nella narrativa attuale, quale il racconto polifonico. Il libro, infatti, è strutturato sulla base delle testimonianze incrociate di otto personaggi femminili, di diversa estrazione sociale, ognuna delle quali ripercorre o racconta in presa diretta la vicenda, naturalmente dal suo punto di osservazione (non a caso, nella magnifica copertina di Lorenzo Mattotti è un viso femminile a lanciare un’occhiata indagatrice attraverso una lente di ingrandimento, secondo una iconografia alla Sherlock Holmes). E' questa una strategia narrativa che in un romanzo giallo è particolarmente fruttuosa, dal momento che pagina dopo pagina, vengono offerti al lettore sempre nuovi particolari, che gettano luce su fatti all’inizio completamente oscuri. Inoltre, attraverso le parole delle protagoniste, Fruttero riesce ad aprire piccoli squarci nel cielo sopra Torino, dalla vita quotidiana della periferia al piccolo giornalismo televisivo locale, dall’ipocrisia della ricca borghesia cittadina, che vive naturalmente sulle colline, alla carità, spesso "pelosa", del volontariato cattolico.
Come si diceva prima, le donne sono, dunque, le protagoniste assolute di questa storia. E, del resto, è il ritrovamento del corpo senza vita di una giovane ad aprire la vicenda. Una domenica mattina di fine maggio, il cadavere viene rinvenuto in un fosso da una bidella, prima voce narrante. Siamo nella periferia di Torino. Tra Mirafiori (dove abita la stessa bidella e una procace barista, che aveva visto il cadavere prima di lei, ma non si era curata di dare l’allarme) e il residenziale quartiere della Crocetta, dove l’uccisa, giovane moglie di un anziano banchiere, abitava in una elegante villa. Alle voci delle due donne si aggiungono in successione quelle di una carabiniera, che nell’economia della narrazione ha il compito di tenere le fila della storia, della figlia del banchiere, della sua migliore amica, di una giornalista di una piccola tv locale (che ella stessa definisce "Teleschifo"), di una bigotta volontaria cattolica, che a Vercelli collabora con un centro di accoglienza per ragazze strappate al marciapiede, provenienti principalmente dall’est europeo. Ben presto, infatti, si scopre che la vittima, Milena Martabazu, proveniva proprio da quel centro, dove aveva trovato rifugio, una volta sottrattasi al giogo della prostituzione coatta. Quindi, "riabilitata", era andata a lavorare come baby-sitter per i nipoti del vedovo banchiere, che in seguito a una passione senile si era perdutamente innamorato di lei.
Attraverso queste testimonianze piano piano il lettore si avvicina alla soluzione della vicenda, grazie anche alle parole di una vecchia contessa un po’ rimbambita (appare solo una volta nel romanzo), che, assistendo al matrimonio del banchiere con la futura vittima, celebrato nel castello di proprietà di suo figlio, dichiara di aver creduto al momento che si stesse girando una fiction televisiva.
Ma, al di là della trama gialla, gestita con grande padronanza, il vero punto di forza del romanzo è tutto nella capacità del vecchio Fruttero di delineare le psicologie delle singole donne attraverso la scelta dei loro linguaggi, tutti diversi l'uno dall'altro, e proprio per questo assolutamente attendibili. Così i personaggi appartenenti ai ceti medio-bassi, come la barista e la bidella, parlano una lingua infarcita di espressioni popolaresche, dove il buon senso popolare si fonde con i luoghi comuni televisivi (“...da certe cose è meglio comunque stare alla larga, che quello è tutto un mondo pericoloso, droga, schiave del sesso, gargagnani, clandestini di tutte le razze... Un minimo di prudenza, di buonsenso, dice lui, un massimo di fifa, dico io”, dice la bidella, riportando il rimprovero del marito). Mentre i personaggi dell’alta borghesia si esprimono con un linguaggio un po’ snob, a volte ricco di francesismi (“Cara, lo so, lo so, il filo, il filo delle cose, dei giorni, della vita, come se ce ne fosse uno solo, hélas. Lentement dans les prés").
Anche se nella seconda parte del libro, data la necessità di condurre il plot verso lo scioglimento finale, il racconto prende una piega troppo veloce e lo stile si fa più omogeneo e più avaro di virtuosismi linguistici, questa nuova intrapresa di Fruttero si può considerare riuscita. Donne informate sui fatti è un romanzo scorrevole, divertente, intelligente, capace di porre il lettore di fronte ad una quotidianità, inquinata dal virus della violenza e della sopraffazione. Una quotidianità con cui non ci si può non confrontare.
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