Chissà se La commedia del potere, del veterano Claude Chabrol, sta alla politica francese di fine anni ’80 inizio ‘90 (lo scandalo delle tangenti Elf) come Il Caimano sta a quella italiana più recente?
Chissà se L’ebbrezza del potere, (quindi la traduzione letterale del titolo originale…) sarebbe stato un titolo più calzante di quello scelto?
C’è del marcio a Parigi, e il piemme Jeanne Charmant Killman (più di qualcuno ha soffermato la sua attenzione su kill-man…), tutta ufficio, codici, casa, indaga a tappeto, non lesinando interrogatori incalzanti e carcerazione preventiva.
Risultato? Un amaro pareggio.
Già, perché così come vanno a rotoli le vite di coloro che finiscono sotto la lente investigativa dell’inflessibile piemme, politici e faccendieri che approfittando della carica rivestita si sono arricchiti con denaro dei contribuenti, anche per l’inflessibile piemme, incarnata dalla stratosferica, come sempre, Isabelle Huppert, non saranno rose e fiori.
Intendiamoci; impossibile non provare un poco di affetto per i malcapitati potenti che perdono d’un colpo privilegi e sicurezze e al contempo un certo disagio di fronte alle scorribande al limite del sadismo da parte della piemme, ma pare di poter dire che a Chabrol non interessa più di tanto calcare la mano sulla borghesia colta nel momento del tracollo e nemmeno sull’ascesa di una eroina giudiziaria, quanto invece l’intersecarsi di due mondi differenti, ognuno con i suoi esponenti, mondi ed esponenti che seguono regole diverse: "così fan tutti" e quindi "tutti colpevoli nessun colpevole" l’uno, "Dura lex, sed lex", l’altro.
Messi a confronto i due mondi, quello giudiziario si mostra in apparenza più forte, salvo poi scontrarsi con quella parte di quello stesso mondo che preferisce di gran lunga una calma piatta ai bruschi scossoni, e che ora blandendo, ora minacciando, ripristinerà lo status quo.
Per tornare alla Huppert, rimane da dire che è perfettamente a suo agio nel frequentare i poli estremi di un’interpretazione che le chiede prima l’adesione più totale alla mission, e poi un brusco distacco sancito dall’ultima battuta che la sceneggiatura le affida, cioè "Che se la sbrighino…".
Per concludere: certo non il migliore Chabrol, forse perché alle prese con un tema a lui poco abituale, ma comunque una pellicola che merita uno sguardo (non fosse altro per la Huppert…)
In concorso al 56mo Festival di Berlino.
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