Questa rubrica comincia a Lucca, in una sera di fine settembre. I motivi che ci hanno portato qui sono molti: personali, casuali, forse un po’ legati a un destino che aveva deciso così. Ma non è questa la sede per questa indagine. Quello che conta è che Simone Togneri è di Lucca. Egli infatti è il primo ospite di questo immaginario salotto letterario, dove ogni mese accoglieremo un autore esordiente.
Dio del Sagittario è il suo romanzo, pubblicato dalla casa editrice L’Età dell’Acquario, nella collana I Best Seller del Mistero (ne abbiamo parlato in libri/3615)
Già in queste poche righe introduttive emergono una serie di tematiche e di spunti di discussione, ma forse è meglio andare con ordine.
Innanzitutto, Simone, benvenuto e un grazie di cuore per aver accettato di fare da cavia per questa rubrica. Un progetto che da tempo avevo in testa e che non mi decidevo mai a mettere in pratica. Così preparati perché non so bene a cosa andremo incontro. E’ un po’ tutto da inventare.
Grazie a te, Chiara. E’ molto bella l’idea di creare uno spazio dedicato a noi esordienti. Sono onorato e lusingato di fare da cavia per il tuo progetto. Sono sicuro che avrà molto successo.
Come sai lo scopo di questa chiacchierata è quello di conoscerti meglio e di raccontare quella che è la tua esperienza come scrittore. E come dicevo mi vengono in mente un sacco di spunti e di idee, a cui cercheremo di dare forma insieme. Partiamo a bruciapelo:
“Il primo dei tre operai corse urlando attraverso l'uscita di servizio del teatro.
Il suo grido si perse in quello del temporale, oltre i tetti del vicolo deserto. Corse sotto la pioggia fino al furgone. Le dita artigliarono la sponda posteriore, la testa si abbassò di scatto e la paura si riversò sulla strada insieme al pranzo. Si tirò su sputando e si voltò verso i suoi due colleghi che correvano fuori a loro volta.”
Questo è l’incipit del tuo romanzo. Ti andrebbe di commentarlo? O meglio, prova a raccontarci com’è l’esperienza di dare il via a un romanzo.
Per me è una miscela di emozioni contrastanti: da una parte c’è l’entusiasmo, la voglia di rendere concreto quello che c’è in testa, la curiosità di vedere dove porterà lo sviluppo della storia; dall’altra c’è l’ansia da “pagina bianca”, la paura di non riuscire a partire. Io inizio cercando di superare questo ostacolo, e per farlo comincio a scrivere partendo da qualcosa, per esempio un'immagine, che magari non ha alcun riferimento diretto con la storia, ma che serve a rompere il ghiaccio. Penso che posso cambiare quel che voglio quando voglio, e quindi vado avanti fino alla fine senza guardarmi troppo indietro. Sono del parere che durante la fase di stesura di un romanzo non ci sia niente di intoccabile. Se serve, anche la frase più bella può essere tagliata.
Con Dio del Sagittario iniziai con le immagini del teatro e di Firenze sotto la pioggia, che poi sono rimaste. In origine l’incipit era molto diverso; la versione definitiva è arrivata all’ultimo, cercando un inizio che simboleggiasse un po’ le atmosfere del romanzo.
Io so, però, che tu, non nasci come scrittore. Sei diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze, sei stato musicista e solo di recente sei anche scrittore. Si potrebbe quasi dire un artista a tutto tondo. Mi piacerebbe capire se e come queste arti si sono unite e influenzate a vicenda e come sei approdato alla fine alla scrittura.
La mia è una famiglia di musicisti, quindi sono nato e cresciuto in mezzo alla musica. Il disegno e la pittura sono arrivati poco dopo, una passione a cui ho cercato di dare forma attraverso l'Accademia delle Belle Arti. E' proprio qui che ho cominciato a trasformare la mia espressività da figurativa a letteraria. Le immagini e i colori non mi bastavano più e così ho cominciato a scrivere. Ho sempre cercato di lasciare a ciascuna di queste arti un'identità ben distinta, ma di certo se non avessi avuto la passione per l'arte non avrei mai iniziato a scrivere.
La tua formazione artistica ti ha quindi influenzato anche nell’esperienza dello scrivere e questo si percepisce in una serie di scelte e sensazioni che il romanzo trasmette. Innanzitutto parliamo della scelta di ambientarlo a Firenze, una delle maggiori città d’arte nel mondo. Perché, tu che vivi nella provincia di Lucca, hai scelto come ambientazione questa città?
Prima di tutto perché non mi sembrava plausibile che una vicenda come quella raccontata in Dio del Sagittario accadesse in una città piccola come Lucca o addirittura in un paese come Barga, dove vivo. Firenze mi è sembrata della dimensione giusta, e poi la vedevo adatta anche per gli episodi di cronaca nera riferiti al Mostro, che mi hanno sicuramente influenzato nella scelta. Inoltre Firenze è una città che amo e che conosco bene, ci ho vissuto quando frequentavo l’Accademia di Belle Arti, e credo che se vogliamo rendere credibili le nostre storie, sia giusto ambientarle in luoghi che conosciamo.
Quindi Dio del Sagittario nasce in Accademia?
Sì, senza dubbio. Durante l’ultimo anno all’Accademia, per un esame, pensai di realizzare una storia a fumetti, di cui sono sempre stato appassionato, che fondesse arte, religione e omicidi seriali. Quando buttai giù la sceneggiatura, mi resi conto che il fumetto non bastava per esprimere tutto quello che volevo dire. Così pensai che la sceneggiatura aveva le potenzialità per diventare un romanzo e cominciai a lavorarci con quella prospettiva.
E l’esame come è andato?
Per l’esame realizzai un’altra storia, ma non ebbe molto successo.
So che la domanda che sto per farti non ti piacerà, perché è difficile rispondere senza cadere nella banalità o senza dare l’impressione di essere superbi, però ti chiedo un piccolo sforzo. Cosa mi rispondi se ti chiedo: perché leggere Dio del Sagittario, tra tutti i romanzi che ci vengono offerti dal mercato?
Perché è ambientato in Italia, perché i personaggi sono italiani, perché dentro c’è un piccolo spaccato del nostro paese. Perché c’è il male, quello che rende l’uomo qualcosa di incomprensibile e misterioso, un velo oscuro che avvolge le cose e le persone, compresi i "buoni". Il mio intento è emozionare il lettore, farlo affezionare ai personaggi, coinvolgerlo fino alla fine e magari lasciargli un po’ di appetito. Se sono riuscito anche in una sola di queste cose, allora credo che valga la pena leggerlo.
E ora dammi tre aggettivi con cui definire il romanzo.
Mamma mia… E’ una domanda difficile… Direi buio, coinvolgente, intenso. O almeno vorrei che qualcuno lo definisse così.
Io direi profondo, come l’anima; cupo, come il male; estremo, come l’arte. Anche se mi rendo conto che è molto riduttivo e che gli aggettivi da usare potrebbero essere infiniti. Trovo però che sia un modo per focalizzare alcuni aspetti importanti dell’opera, un po’ come pennellate di un quadro…e qui torna, prepotente, l’arte. Passando però a parlare di un tema forse meno artistico ma più operativo e che sicuramente interessa tutti coloro che un giorno vorrebbero vedere il proprio romanzo nelle librerie: è stato difficile arrivare alla pubblicazione?
Con mia grande sorpresa no. In realtà ho pubblicato molto in fretta. A settembre del 2005 mi sono deciso. Ho aperto il cassetto in cui custodivo il romanzo e ho cominciato a contattare i direttori editoriali di alcune case editrici. Dopo qualche settimana sono arrivate le prime risposte, tra cui quella del direttore editoriale di Lindau, Ezio Quarantelli, che mi chiedeva in lettura il dattiloscritto. Dopo averlo letto, mi ha invitato in redazione a Torino e da lì è cominciato tutto.
Quindi, vista la tua esperienza, cosa consiglieresti di fare a chi ha un libro nel cassetto?
Dalla mia piccola esperienza consiglierei di contattare tutte le case editrici, non solo le più grandi. Ce ne sono molte anche tra le minori che hanno un'ottima visibilità su tutto il territorio nazionale e magari hanno la voglia e le possibilità di investire su autori esordienti. E direi di insisitere, di non lasciarsi abbattere dai "no", ma di provarci, fino in fondo. Male che vada, si resta ciò che si è. Secondo me fa più male trovarsi un giorno a recriminare sul fatto di non averci nemmeno provato, che aver ricevuto dei rifiuti.
A questo proposito abbiamo chiesto il parere anche a Francesca Ponzetto, responsabile dell’Ufficio Stampa dell’Età dell’Acquario, che così ci racconta della pubblicazione di Dio del Sagittario.
"Sono felice di raccontarti come è nata l'idea di pubblicare il libro di Simone, anche se, preparati, è la storia più banale che c'è. Si tratta, infatti, di una sorta di "storia d'amore". Simone ha mandato qui il suo manoscritto, l'editore ha letto l'abstact e ha cominciato a intuirne "una buona idea"; quindi ha iniziato a leggerlo e si è molto in fretta appassionato al plot, a Mezzanotte, a quella Firenze cupa e piovosa che Togneri conosce e ben descrive... così ha proseguito nella sua lettura e tra le righe, oltre ai martiri, alle indagini e all'assassino, vi ha trovato: una bella scrittura, molto matura per essere quella di un esordiente; una struttura narrativa e un intreccio robusti, ben congegnati già in prima battuta, senza cioè ancora l'intervento dell'editor e del suo prezioso e fondamentale lavoro; una certa possibilità di serialità del romanzo, e quindi, di una buona possibilità commerciale, duratura. Insomma, ci ha creduto! E ha fatto bene! Intuito? Esperienza? Fortuna? Forse l'insieme di tutte le cose!"
In poche parole è stato proprio un colpo di fulmine. Tu, Simone, come hai vissuto questa esperienza? Che effetto fa vedere il frutto del proprio lavoro sugli scaffali delle librerie?
Stupore assoluto. A distanza di mesi dalla pubblicazione, non realizzo perfettamente quel che è successo. Ti posso raccontare un aneddoto, tanto per darti un’idea: il giorno che ho visto per la prima volta Dio del Sagittario sugli scaffali di una libreria ho pensato che qualcun altro avesse avuto la mia stessa idea per il titolo. Mancavano ancora un paio di settimane alla pubblicazione ufficiale, per cui non mi aspettavo certo di trovarlo. Quando ho letto il mio nome e ho riconosciuto la copertina, sono rimasto immobile davanti allo scaffale. E’ stata un'emozione fortissima. E anche adesso, quando in una libreria trovo Dio del Sagittario sento che il cuore perde un colpo.
Insomma è un’esperienza da ripetere? Da grande ti piacerebbe fare lo scrittore?
Sì a entrambe le domande. Mi piacerebbe avere ancora la possibilità di comunicare agli altri quel che ho da dire, le emozioni che provo quando scrivo le mie storie. E pensare che, da piccolo, lo scrittore era un mestiere che non avrei mai immaginato di voler fare
E cosa avresti voluto fare?
Forse il musicista, o il pittore. O magari tutte e due le cose.
Chiudiamo con una domanda di rito. Stai lavorando a altri progetti? E, soprattutto, c’è la possibilità di incontrare nuovamente il commissario Mezzanotte e Simòn Renoir?
I progetti ci sono e sono anche numerosi. Mi sono affezionato molto ai miei personaggi, così sto pensando alla possibilità di realizzare una serie con Simòn Renoir e il commissario Mezzanotte. Attualmente sto scrivendo il sequel di Dio del Sagittario, e ho in mente il soggetto per un terzo romanzo. Poi ci sono le ispirazioni di tutti i giorni, quelle idee che vanno fissate subito su un pezzo di carta prima che svaniscano. Il mondo di ogni giorno è pieno di spunti da cui partire per scrivere una storia e mi piace osservare quello che mi succede attorno, una persona che ha fretta, due che parlano a voce alta, qualcuno vestito in modo particolare o con atteggiamenti particolari, un articolo di cronaca, un’immagine, una scritta su un muro. Credo che lo scrittore sia un ladro di quotidianità. Alcune di queste idee sono buone, altre probabilmente no, ma questo sarà affascinante scoprirlo quando sarà il momento.
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