Il passo si allunga, si fa più rapido, quasi volesse sfuggire all’ombra delle gambe. GB avanza come se la folla non esistesse. Spintona qualcuno, sfiora qualcun altro, non sente le voci bestemmiare alle sue spalle. Se la cosa va fatta, che sia fatta in fretta. Potrebbe fare altrimenti, potrebbe infilare la sua lama tra lo sterno e il pomo di adamo di HS. Potrebbe ma non ha tempo.
Scuote la testa, alza lo sguardo e si ferma. Attorno un vorticare di persone lo circumnaviga come un masso sporgente nella corrente di un fiume. Ha voglia di caffè. Lancia lo sguardo oltre la calca. L’orologio sul muro segna le cinque.
T. gli ha parlato diverse volte del caffè M. che si trova in una stradina da quelle parti. T gli ha raccontato anche di come, durante la guerra, i finlandesi avessero imbastito un commercio clandestino di polvere nera con la Svezia e di come ogni notte nel golfo di Botnia ci fosse un eterno avvicendarsi di imbarcazioni finniche, nonostante i sottomarini tedeschi e le fregate inglesi giocassero a darsi la caccia. I contrabbandieri suomi rischiavano di saltare in mille pezzi di legno, catrame e budella per il caffè. Non per un caffè qualsiasi ma dell’ottimo caffè svedese conservato in scatole di latta sigillate sotto vuoto. Quando le aprivano, anche solo l’aroma poteva ripagarli del rischio. I finlandesi, sono un popolo orgoglioso e combattivo. Hanno sbagliato cercando di farsi proteggere dai russi dall’esercito tedesco e il loro orgoglio ne sanguina, hanno poche ore di luce, o troppe, hanno delle zanzare feroci lunghe qualche centimetro, della schnapps distillato di tristezza pura e molta voglia di suicidarsi. Non rimane loro che il caffè. Ettolitri di caffè, a tutte le ore e a tutte le età. Qualcosa che possa distrarli dalla vita per qualche sorso. GB si sente come un finlandese. Imbocca la stradina scalcinata, cerca il caffè M. ed entra.
Due vecchi giocano a dama seduti al tavolo in fondo, vicino a un lucernario. Lungo il fianco sinistro del locale corre un bancone di mogano con cerniere di ferro, dietro, c’è un ragazza che accoglie GB con un cenno gentile. D’istinto risponde al gesto con un sorriso. Si avvicina e ordina.
La voce di lei è roca, crepata dal tabacco. “Che tipo di caffè?”
Per GB, almeno fino a prima di quella domanda, esisteva un solo tipo di caffè. Non si era mai posto il problema. “Perché? Quanti tipi ce ne sono?” azzarda con le sopracciglia sollevate.
La ragazza lo squadra divertita, deglutisce e una cordicina di nervi si tende dalla spalla al collo, poi con un ampio gesto della mano fa un cenno alle pareti: centinaia di mensole, cariche di barattoli di ogni forma e colore. GB si sente come uno di quegli sciocchi che guardano il dito quando qualcuno indica la luna.
Si stringe le labbra tra pollice e indice. “Avete del caffè svedese?”
La ragazza si volta, muove il capo da destra a sinistra e dall’alto in basso come se stesse mirando con un arco. Poi si ferma. Prende uno sgabello da sotto il bancone, ci monta sopra e si allunga verso uno dei ripiani più alti. GB non può fare a meno di osservarle i polpacci sotto la gonna.
“Si accomodi, glielo porto appena pronto.”
Non dovrebbe essere lì. Ha assicurato HS che lo avrebbe fatto. Ma in fondo che differenza può fare il tempo di bere una tazza di caffè? Minuti? Mezz’ora forse? Non sarebbe cambiato nulla.
Le venature del legno sul tavolo si inseguono e si annodano, GB le segue con lo sguardo cercando di sbrogliarne le matasse.
Ha conosciuto Lisa quando era ancora un ragazzo. Vivevano nello stesso quartiere. Il resto è odio. O per lo meno quello che è venuto dopo i primi anni.
GB non sa chi sia suo padre, sa però che al suo posto c’è stato don S., che non era un parroco.
La vita nel quartiere non era facile per uno come lui. I ragazzini più grandi lo tormentavano, la madre aveva altro da fare e lui stava in strada tutto il giorno, seduto sui gradini del palazzo a leggere o bighellonando da solo lungo il canale.
Una sera, mentre è impegnato nella seconda attività. Un gruppo di bulli mette in scena l’ennesima commedia di umiliazione nei suoi confronti. Insulti, spinte, spunti e tutto lo scibile nel campo della prepotenza adolescenziale. Lisa per il momento non è che un sogno. L’unica ragazzina, e forse l’unica persona nel raggio di parecchie miglia che gli avesse mai concesso un sorriso. E quando il più grosso dei commedianti tira fuori l’uccello dai pantaloni per mostrare cosa ha in serbo per lei, il piccolo GB sente il sangue coagularsi nelle vene. Si lancia con violenza sul ragazzino facendolo cadere, con una mano gli stringe le palle e con l’altra comincia a sferrare dei pugni alla cieca. Gli altri rimangono fermi per qualche istante, mentre il loro capo ulula con tonalità via via sempre più acuta poi cominciano a prendere GB a calci per staccarlo dal ragazzo.
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