“C’è un’altra uscita?”
Nessuno lo guardava, nessuno rideva di lui. “C’è un’altra uscita?”, ripeté.
“No”, gli rispose quello dei caffè. Serio raggiunse subito la porta a vetri. Aprì. Appena fuori respirò a fondo l’aria fresca che sapeva di salsicce e di fumo. Gente, tanta gente. Strizzò gli occhi. Macchine in fila. Due motorini lo sfiorarono. Le sciarpe. Ancora salsicce. Lo stadio. Era davanti allo stadio. In quell’istante gli tornò in mente l’aggressione. Uno dei due, quello con i baffi, aveva la sciarpa. I colori di una squadra di calcio. La scritta “ultras”. Ma non c’entrava la violenza negli stadi, non lo avevano pestato per il calcio. Loro erano lì per lei. Si trattava di un’intimidazione. Non doveva essere un caso che la bionda avesse raggiunto lo stadio. Forse doveva pagare i suoi scagnozzi. Chiamiamoli pure guardie del corpo. Sputò. Poi si toccò la testa. Guardie un cazzo. Sputò ancora. Delinquenti. Sarebbe entrato nello stadio. Avrebbe riconosciuto ad occhi chiusi quello con i baffi. Anche nella curva degli ultras. Il problema era la pistola. Si mise in coda per il biglietto. Il problema vero era la pistola. Lo avrebbero perquisito. Non poteva qualificarsi come l’ispettore Serio senza esibire i documenti. Doveva entrare e non rivelare la sua identità, in più era necessario non scoprissero che era armato. Tutta roba che lo costringeva a pensare, ad arrovellarsi intorno ai problemi, a trovare soluzioni. Non era proprio nelle condizioni di forma giuste per sottoporsi a un simile sacrificio. La sua mente reclamava calma, silenzio, una tranquilla serenità. A forza di pensare gli dolevano gli occhi. Si portò la mano destra sulla fronte e si massaggiò piano. Il profumo era lieve, ma presente, particolare. Il palmo della mano e parte delle dita profumavano. Non un comune profumo. Qualcosa che se fosse stato più forte avrebbe avuto poteri inebrianti. Cosa aveva toccato con quella mano? Portò al naso la sinistra. Quella sapeva di plastica, la stessa del volante. Tornò ad annusare la destra. Quel profumo. Forse l’aveva carezzata? Lei. La donna che pedinava da giorni. Cos’era successo quella notte?
Possibile fosse entrato da lei? Non riusciva a ricordare. Quel maledetto proiettile in testa. Lo avevano anche colpito per bene. Si era difeso, ma un pugno lo aveva raggiunto alla mascella. Poi la vista che si annebbiava, il capo che dondolava, l’asfalto che gli veniva incontro. La sua mano si era portata alla pistola. Non era stata una delle esperienze peggiori della sua carriera, al massimo si era trattato di un altro test con il quale misurare le sue capacità di poliziotto. Se ripensava quanto gli era costato, anche in soldi, restare vivo tutti quegli anni… Sospirò e tornò al profumo. Difficile ricostruire cosa era avvenuto prima di quell’aggressione. Gli appostamenti erano il suo forte. Aspettava solo il momento opportuno per entrare in azione. Dal suo punto di osservazione poteva vedere chiunque entrasse o uscisse. Lei aveva ricevuto due o tre volte un tipo con i baffi. Indubbio ci fossero troppi baffi in quella storia. Serio aveva pensato lì per lì, senza una ragione logica o almeno plausibile, che fosse un avvocato. Dopo aveva capito che fra i due c’era del tenero. Allora l’aveva spiata più da vicino. Le finestre. Il giardino di dietro. Bastava superare un’inferriata alta un metro e mezzo e fregarsene del cane effigiato nel cartello di pericolo. Il vecchio trucco del cane. Lei detestava le bestie. Non si sarebbe mai messa un cane in casa. Si scosse e allontanò per qualche istante quei pensieri.
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