Sono un poliziotto. Seguo una donna. Qualcuno ce l’ha con me.

Questi erano i punti fermi, le certezze. Il resto era molto nebuloso. Faceva parte del resto un’aggressione, poi un colpo alla testa e una parziale amnesia. Non ricordava di preciso il suo nome, ma gli era già successo. Aveva da anni un proiettile nel cervello e gli capitava di dimenticare le cose. Per di più c’era stata una colluttazione e la botta in testa.

Non ricordava perché seguiva quella donna. Sapeva che prima o poi gli sarebbe tornato in mente e cercava di tenere lontana l’ansia. Forse l’aggressione aveva a che fare con il pedinamento, ma si conosceva, era meglio non cercare deduzioni che lo avrebbero costretto a pensare, a concentrarsi. Tutto si sarebbe chiarito da sé. Fosse stato in una situazione normale, avrebbe potuto cercare aiuto lì all’investigativa, dai colleghi, ma non era una situazione normale. Uno pericoloso. Lo avevano definito così. Per via del proiettile nella testa, per le amnesie, per tutto quanto comportava una certa aggressività che gli veniva imputata. Avesse telefonato si sarebbe preso il cazziatone. Lui invece voleva dimostrare che sapeva come portare avanti un’indagine con i suoi mezzi, con il mestiere acquisito negli anni. Tutto qui. Si appoggiò al sedile dell’auto e chiuse gli occhi. Lei era bella. La pedinava da giorni. Non ricordava bene quanto era accaduto quella mattina. L’aveva aspettata davanti a casa e lì lo avevano aggredito. Dovevano essere due. Uno più alto, con i baffi e un tatuaggio sul braccio. Un arco con la freccia. L’altro non lo aveva visto. Più basso. Forse con il capo rasato. Si era svegliato accanto alla macchina. Seduto sull’asfalto, appoggiato alla ruota. Avevano colpito la testa. Sicuramente sapevano del proiettile, ma non lo volevano uccidere. Gli avevano fottuto i documenti. Gli volevano fare male. E paura. Risultato? C’erano riusciti.

Sbadigliò. La bella era entrata da dieci minuti nel bar. Lui aveva deciso di aspettare fuori. Troppo rischioso farsi vedere. Ora però erano passati tutti quei dieci minuti. Le concedeva altri cinque minuti, poi sarebbe stato costretto ad entrare. Lei era una canaglia e ci metteva poco a trovare un’uscita laterale. Lui la figuraccia non voleva farla, in particolare con se stesso, quindi gli dava altri due minuti. “Merda, merda…merda!”, pensò stringendo il volante.

L’aveva vista nuda. La notte prima. Logico. Stava al piano terreno. Tutte quelle finestre e lui era pur sempre un poliziotto. Lo sapeva dove gettare l’occhio. Lei era da sola e si dava da fare davanti allo specchio. Masticava pure una gomma. Era perfetta. Roba da raccontare. In palestra. O con i colleghi al poligono, però lui non era il tipo che si perdeva a celebrare epifanie erotiche a cui nessuno avrebbe creduto. Non lo era proprio.

Cinque minuti. Doveva decidersi. Uscì dalla macchina, quasi si buttò di sotto. Gli si era informicolita una gamba. Claudicò fino al marciapiede di fronte e a mezza strada si ricordò il suo nome: Alberto Serio. L’ispettore Alberto Serio. Sorrise con orgoglio: la memoria stava tornando. Davanti alla porta del bar, prima di entrare, si specchiò nel vetro. Una faccia grigia come tante. L’espressione assente. L’aria incazzata. Sembrava la reclame della polizia.

Entrò. C’era gente, movimento, c’era rumore, quasi confusione e non c’era lei. Cominciò a sudare. Raggiunse il banco. Due si davano da fare con tazze e tazzine, un terzo tormentava la macchina del caffè.

“Prima è entrata una donna bionda”, disse. Uno dei tipi con le tazzine lo guardò senza aprire bocca. “Ora dov’è?”, aggiunse Serio appoggiandosi al banco. Parlò quello che stava dietro ai caffè: “Mi sa che ti sbagli, non c’era nessuna bionda…Prima”.

“Come non c’era, l’ho vista entrare”.

Uno dei baristi alzò le spalle. “Sarà al cesso”, disse. Serio strinse i denti.

“Guarda che sono un poliziotto”.

Il suo interlocutore alzò un’altra volta le spalle. “Forse è al cesso anche se sei un poliziotto”. Serio portò la mano alla pistola. La teneva dietro, nella cintura. Quando camminava gli premeva sul rene destro e gli dava sicurezza. La lasciò lì. Meglio non fare scene. Poi con tutta quella gente. Si avviò verso il gabinetto. Aprì quello delle donne. Vuoto. Aprì anche quello degli uomini. Vuoto lo stesso. Tombola! Si appoggiò alla parete bianca che il neon sbiadito faceva luccicare. L’aveva fottuto, virgola, l’aveva fottuto per bene, punto esclamativo, e ora lui doveva passare un’altra volta davanti al banco e sopportare il sorrisino dei tre baristi sfigati, punto. Non ci pensò. Tornò al banco lo stesso.