1968, Bath, Ohio. I genitori di Jeffrey, un bambino biondo di otto anni, stanno, per l’ennesima volta, litigando. I litigi sono sempre più frequenti in casa, così, il piccolo Jeffrey, esce per giocare nei campi. Mentre sta giocando, un vicino di casa lo affianca, gli parla, lo molesta sessualmente.
1970, Bath, Ohio. Dei ragazzini stanno giocando, quando trovano, nel bosco, un palo sul quale è conficcata la testa di un cane. Sono inorriditi e scappano. Sospettano subito di un loro compagno che abita lì vicino, Jeffrey, che si diverte decapitando roditori, sbiancando con l’acido le ossa dei polli, inchiodando carogne di animali sugli alberi. Jeffrey è un tipo strano, solitario, che a scuola finge attacchi epilettici e, ogni tanto, in mezzo alla lezione, bela come una pecora.
Ho trovato un cane e l’ho aperto, solo per vedere com’era fatto dentro, e per qualche ragione ho pensato che sarebbe stato un bello scherzo infilare la sua testa su un palo e piantarlo nel bosco. Jeffrey Dahmer
1978, Bath, Ohio. Un diciottenne biondo sta facendo un giro con la macchina quando incontra un autostoppista, si ferma, e lo fa salire. I due parlano, il giovane biondo invita il nuovo amico a casa sua per bere qualcosa. Tutto prosegue tranquillamente, fino a quando Steven Hicks, l’autostoppista, decide che è ora di andare. Il compagno insiste per trattenerlo, ma Steven rifiuta, lo stanno aspettando, deve andare. A questo punto, il giovane biondo s’innervosisce, colpisce il compagno alla testa con un manubrio e lo uccide. Dopo un attimo di smarrimento, il biondino si spoglia e si masturba sul cadavere. Poi, fa a pezzi il corpo, lo impacchetta in buste di plastica, e lo sotterra dietro la casa dove risiede con la famiglia.
In seguito, si arruola nell’esercito e, dopo pochi anni, viene congedato per ubriachezza – aveva cominciato a bere fin dalla scuola. Al ritorno dall’esercito, si trasferisce dalla nonna a West Allis, nel Wisconsin. Nel 1986, si ritrova nei guai con la giustizia per atti di esibizionismo davanti a due ragazzini, e finì in libertà vigilata.
15 settembre 1987. Il biondo Jeffrey Dahmer incontra Steven Toumi. Dahmer invita il ragazzo in un hotel per fare sesso. Qui lo uccide, lo chiude in una valigia, e lo porta nella cantina della casa di sua nonna dove compie atti di necrofilia prima di fare a pezzi il corpo. L’anno seguente, Dahmer, cattura altri due ragazzi, James Doxtator e Richard Guerriero, incontrati nei gay bar, li droga, li uccide, li fa a pezzi. Nell’estate del 1988, Dahmer, su invito della nonna stanca degli orari del nipote e del tanfo dei suoi “esperimenti”, si trasferisce nell’appartamento 213 a 924 North 25th Street a Milwaukee, meritandosi così il soprannome con il quale è tristemente famoso: il mostro di Milwaukee.
Proprio nel settembre del 1988, un ragazzo laotiano di tredici anni, racconta ai genitori di essere stato drogato e molestato da un giovane biondo. Il ragazzo si chiama Keison Sinthasomphone: ricordiamoci di questo cognome, ritornerà nella storia. Dahmer viene, così, arrestato: il processo inizia nel 1989 (lo stesso Dahmer sosterrà al processo la sua difesa, pregando il giudice di concederli un’altra possibilità) e, mentre Jaffrey aspetta la sentenza, uccide la sua quinta vittima: Anthony Sears. Nel maggio 1989 arriva la sentenza: cinque anni di libertà vigilata e un anno di casa di correzione. Dahmer lascerà la casa di correzione dopo soli dieci mesi per buona condotta. Dopo un breve periodo di soggiorno a casa della nonna, ritorna al suo appartamento a Milwaukee. In questo periodo, Dahmer, ucciderà altre dodici persone, cercando di effettuare una sua bizzarra idea, quella di creare degli “zombie”, obbedienti a ogni suo capriccio, trapanando il cranio della vittima, versando, all’interno del foro, dei liquidi corrosivi, nel tentativo di distruggere la volontà del soggetto. Nessuno dei “pazienti” di Jeffrey Dahmer sopravvisse.
26 maggio 1991. Due donne stanno transitando sulla North 25th Street, quando si imbattono in un giovane asiatico completamente nudo e disorientato. Arriva anche la polizia e, nello stesso momento, il giovane Dahmer che, con aria mite, afferma che tutto è sotto controllo, che il ragazzo è ubriaco, che stavano facendo soltanto dei giochi omosessuali. Gli agenti credono al racconto di quel giovane per bene, condannando così il giovane Konerak Sinthasomphone (sì, il fratello di Keison, il tredicenne laotiano violentato tre anni prima, poi si dice il destino!) a morte. Si arriva, così, al 22 luglio 1991. nell’area dell’università Marquette, due poliziotti notano un giovane di colore, nudo, con le manette ai polsi, barcollare per la strade. Lo fermano, pensano che sia scappato da qualche penitenziario, ma l’uomo, il trentaduenne Tracy Edwars, racconta una strana storia: dice di aver conosciuto un tipo in un centro commerciale e di aver accettato il suo invito per una “festa” a casa sua. Ad un tratto, mentre guardavano la cassetta dell’Esorcista, il giovane lo aveva ammanettato un polso e puntato un coltello sul petto, dicendogli che lo avrebbe spogliato, fotografato e gli avrebbe mangiato il cuore. A quel punto gli aveva dato un calcio ed era fuggito. I due poliziotti si dirigono verso l’abitazione per vedere se la storia è vera. Bussano. Ad aprire è un giovane biondo dall’aspetto mite, che subito si offre di andare a prendere le chiavi delle manette. “E’ solo un gioco – dice – ci stavamo divertendo!”. Uno dei due agenti lo segue, e trova la camera piena di polaroid di corpi smembrati. Immediatamente i due agenti immobilizzano il giovane, che tenta di reagire. Comincia l’ispezione dell’appartamento, e quello che i due trovano è agghiacciante: nel frigorifero ci sono quattro teste dentro a dei sacchetti di plastica, nelle stanze trovano teschi, pentole piene di resti umani, peni e genitali conservati in vasi di formaldeide.
Dahmer fu condannato a 957 anni di reclusione. In prigione, Dahmer rifiutò le misure di sicurezza detentiva offertegli al Columbia Correctional Institute di Portage, nel Wisconsin, nonostante le numerose minacce di morte ricevute.
Adesso è finita. Non ho mai pensato di tornare libero. Non voglio nemmeno la libertà. Per essere sincero, ciò che desidero per me è la morte. Jeffrey Dahmer nella sua ultima dichiarazione in tribunale
Il 3 luglio 1994, un altro carcerato tentò di tagliargli la gola nella cappella della prigione, ma Dahmer si salvò. Il 28 novembre dello stesso anno, viene ucciso, colpito sulla testa con una sbarra di ferro da un compagno di prigione, Christopher Scarver, che pensava di essere il figlio di Dio e aveva agito su ordine del padre.
Dahmer fu cremato, ma non prima che il suo cervello fosse rimosso e creasse l’ultima disputa tra i suoi genitori, ormai separati da molto tempo. La madre voleva che il cervello fosse donato alla scienza per essere studiato, il padre, al contrario, voleva che l’organo fosse distrutto, per “lasciarsi alle spalle l’intera faccenda”. La questione fu risolata nel dicembre del 1995, quando un giudice ordinò che il cervello fosse cremato.
Bibliografia essenziale:
Brian Master, Jeffrey Dahmer, I libri neri, Roma, 1994.
Lionel Dahmer, Mio figlio l’assassino, Sperling & Kupfer, Milano, 1994.
Richard Tithecott, Of Men and Monster: Jeffrey Dahmer and the Construction of the Serial Killer, University of Wisconsin Press, Madison, 1999.
Don Davis, The Milwaukee Murders: Nightmare in Apartment 213, St. Martin’s Press, New York, 1995.
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