Il noir scandinavo va forte e quindi Piemme non si lascia sfuggire l’occasione per cercare nel vasto serbatoio nordico il nuovo Mankell. Jo Nesbø, classe 1960, sembra rispondere a queste caratteristiche: vanta una serie di successo in patria con un detective, Harry Hole, che promette bene anche in Italia. Come al solito gli editor saggiano il mercato italiano proponendo un’avventura intermedia del nostro eroe, dal forte impatto emotivo (si tratta della spinosissima questione del collaborazionismo norvegese durante la Seconda Guerra Mondiale), ma che fa mancare al lettore alcuni punti di riferimento: sia nel passato (si allude ad alcune disavventure di Hole senza che l’autore si dilunghi più di tanto, appunto per non compromettere la lettura dei precedenti romanzi) che nel futuro (il finale lascia aperta la punizione per il responsabile – peraltro noto al lettore – dell’omicidio della collega Ellen).
Harry Hole è un marcantonio discretamente alcolizzato, ancora giovane ma segnato dalla vita e dagli stravizi, poco incline ai compromessi e alla diplomazia. Tanto è vero che proprio a inizio romanzo viene promosso da ispettore a commissario, ma spostato ai Servizi di Sicurezza della Polizia perché so è reso protagonista di una sparatoria con un agente segreto degli USA che sorvegliava il suo presidente in visita nella capitale norvegese.
È amicissimo di Ellen Gjelten, la sua collega che verrà uccisa nel corso dell’inchiesta, e infatutato di Rakel Fauke, a cui la sorte ha dato un ex marito russo, un figlio Oleg che alleva da sola e un importante incarico nel Servizio di sicurezza in cui lavora Hole.
Eppure, anche nel suo nuovo ruolo, la comparsa di un letale e poco diffuso fucile da caccia gli fa sospettare qualcosa di poco chiaro e così, seguendo il suo intuito ma anche – lo sapremo però solo alla fine – le tracce sapientemente lasciate dal vendicatore che risorge dal passato, ricostruisce una storia di amore e guerra, lealtà e tradimento i cui effetti durano ancora ai giorni nostri e coinvolgono anche sentimentalmente il nostro eroe.
Ne esce un quadro assai variegato e poco stereotipato della Norvegia, insolitamente descritta nei suoi rituali un po’ ipocriti, nella sua cattiva coscienza dopo l’invasione tedesca, nel suo nazionalismo venato di razzismo, nella tendenza a rimuovere le proprie responsabilità. Così, paradossalmente, l’eroe nero della storia – colui al quale dà la caccia Hole, schivando il fuoco nemico e amico – colpisce per la sua dignità in mezzo a un mondo di mezzi uomini – avrebbe detto Sciascia – che preferiscono usare l’arma del ricatto e del silenzio piuttosto che affrontare il nemico a viso aperto.
Certo il finale non mantiene tutte le aspettative suscitate dalle pagine precedenti: l’inserimento infatti di un tema tipicamente anglossassone (la personalità multipla) impoverisce un po’ la ricchezza di un intreccio che non vuole appiattirsi sulla cinematografica sequenza finale forse pensata appunto – ma quale scrittore non lo fa adesso? – per il grande (o piccolo) schermo.
Prova discreta, quindi, quesdto Il pettirosso, esordio dignitoso e degno di una continuazione: con la speranza di conoscere tra breve la soluzione dei problemi investigativi lasciati astutamente irrisolti da Nesbø.
Voto: 7
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