Bruno non aveva avuto una vita facile. Alcuni anni prima la vecchia Cesira, impaziente di ammirare il mondo da un diverso punto di vista, si era tolta la vita impiccandosi nel fienile, mentre il padre era fuggito alla nascita del figlio. Adesso, nella casa, Bruno viveva solo, circondato da cumuli di immondizie maleodoranti e da decine di gatti randagi, compagni occasionali che approfittavano dell’amore che il ragazzone provava per loro. Lui gli dava da mangiare, li accarezzava e ogni tanto… li uccideva. Già, perché a volte, Bruno, desiderava sentire il sordo rumore di un collo felino spezzato a mani nude. Sin dai tempi della scuola aveva dimostrato l’incapacità di socializzare con i compagni. In quarta elementare aveva steso due suoi amici, in quinta - dopo aver ricevuto una secca bacchettata sulle mani - aveva deciso di assaggiare l’orecchio destro della maestra. All’indomani di quell’ultimo fatto increscioso, la madre aveva deciso di non mandarlo più a scuola. L’isolamento impostogli dalla Cesira non fece che peggiorare le cose. Nessuno lo vide più in giro. Si diceva che Bruno e la sua vecchia vivessero nel loro incontrastato regno della merda, attorniati da gatti, da spazzatura e da troppi brutti ricordi.
Gli anni passarono e Bruno si chiuse sempre di più in se stesso. In paese lo sì vedeva raramente. Se volevi vedere Bruno dovevi passeggiare in campagna, tra i campi di erba medica, perché quello era il luogo dove, se avevi fortuna, ti potevi imbattere nella sola e unica leggenda vivente di uno sperduto paesino Reggiano.
Fu in quella torrida estate del 1982 che Bruno decise di valicare l’oscuro confine della razionalità umana…
Paolino cercava di risalire le pareti del pozzo. Ma le pietre appuntite, vecchie di secoli, gli laceravano braccia e mani. Il suo corpo era ricoperto di lividi causati dal tiro a segno che il folle aguzzino metteva in scena giornalmente, utilizzando sassi grandi come arance. Bruno si divertiva a infierire sul ragazzino e Paolino doveva impegnarsi per evitare i lapidei proiettili. Quella stessa mattina Bruno gli aveva centrato lo zigomo destro e adesso il volto di Paolino era gonfio e ricoperto di sangue.
Ogni giorno Paolino pregava il Signore, perchè qualcuno lo trovasse. I Carabinieri, la Polizia, la gente del paese, chiunque!
Forse la televisione ne avrebbe parlato…
Ma le ore passavano e dall’ingresso del buco, lassù, passavano solamente uccelli, nuvole, stelle e la merdosa faccia di Bruno.
Aveva sete, Paolino. Sognava di scolarsi una bottiglia di Fanta o divorare il suo gelato preferito: la grande, corposa e unica Coppa Rica!
Soltanto all’indomani della sua cattura Paolino aveva scoperto il perché Bruno avesse fatto quella cosa orribile.
– La voce del grande gatto bianco mi ha detto che se stasera l’Italia vincerà la coppa del mondo, lui farà tornare in vita la mia mamma. A un patto però: devo diventare un uomo vincente e perché ciò accada devo eliminare un perdente… e chi meglio di uno stupido moccioso che corre lento come una lumaca?
Era folle, completamente sballato. Paolino non sapeva niente di gatti bianchi e di voci in grado di ridonare la vita alla madre di un matto. Certo, come avrebbe potuto saperlo? La razionalità della sua mente non era in grado di concepire una follia del genere. Lui voleva solo tornare a casa, abbracciare mamma e papà e guardarsi la finale alla televisione.
– Mio padre mi troverà e quando mi avrà trovato vedrai quante bott…
Paolino aveva cercato di minacciarlo e di rimando Bruno gli aveva tirato una pietra, centrandolo in pieno volto.
Il sangue ha un sapore schifoso!, pensò Paolino, rintanandosi in un angolo del buco.
Noi formiche sappiamo come muoverci. Ognuna di noi aspetta chi rimane indietro. Noi ti aspettiamo, anche se non sei capace di correre forte. I tuoi amici invece no!
Nella prigione sotterranea Paolino sentiva le macchine sfrecciare sulla strada, distante un paio di chilometri. A ogni rombo di motore lui sognava di saltarci sopra così da poter fuggire via, lontano da quell’inferno puzzolente. A volte, però, sentiva anche il sonoro gracchiare del televisore di Bruno e, durante la notte, anche i torbidi lamenti di quel pazzo. Paolino non era un bambino ingenuo, lui certe cose le sapeva. Paolino era sicuro di quello che Bruno faceva là dentro e non erano belle cose…
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