Antonio Vitiello aspettava dentro la macelleria, solo.
Il camion frigorifero arrivò alle sei e mezza quella mattina. Parcheggiò sul marciapiede davanti alla sua bottega e scesero due giovani addetti del mattatoio comunale. Antonio uscì per dare una mano a quei due ragazzotti e insieme scaricarono un intero vitello di prima scelta, ottimo sviluppo muscolare.
Antonio guidò i due addetti nel retrobottega, adoperandosi a sistemare la carcassa bovina. L’adagiarono sul banco d’acciaio, poi uno dei due gli presentò la bolla da firmare. Scarabocchiò una firma e notò la fede brillante che il ragazzo portava al dito. Così giovane e c’ha già famiglia, pensò con rammarico, mentre lo accompagnò fuori.
Gli addetti del mattatoio risalirono sul camion e si allontanarono dalla Macelleria Vitiello e figli, da tre generazioni la migliore di Boscoreale, come recitava la scritta sulla vetrina.
Antonio buttò un’occhiata lungo la strada deserta a quell’ora del mattino e vide Gennaro il fruttaiolo alzare la saracinesca. Lo salutò con un cenno per tornare subito dentro la sua bottega. Chiuse a chiave e andò nel retro pensieroso e teso. Prese il grembiule sporco e logoro, mentre l’altro, il suo, restò appeso al gancio anche oggi.
Una convinzione si faceva strada nella sua testa: quello c’è tornato.
Infilato nei suoi pensieri e martoriato dalla stanchezza, dopo una notte insonne passata a girare per casa solo, esitò qualche istante davanti agli affilati ferri del mestiere. Poi si ripigliò e, stretta la mano robusta sul manico della sega, cominciò a macellare la carcassa. Rigirò quell’involucro di ossa e muscoli tesi sul banco d’acciaio, già avvolto dai primi vapori dello scongelamento. Gli cacciò i denti affilati dell’utensile nella schiena. Sezionò all’altezza della sesta e settima vertebra, scendendo lungo l’arco costale.
Due settimane fa gli era arrivata all’orecchio una brutta chiacchiera che circolava in paese da qualche tempo: il figlio del macellaio va con Gerry ‘o ricchione. Non ci poteva credere. Era convinto che fossero le voci stupide messe in giro dalle solite malelingue, suo figlio, il suo unico figlio, era un ragazzo di sani principi. Ma si sbagliava. Quella sera stessa capì purtroppo che lui era diverso. Lo riempì di botte e gli tolse i soldi finché non avesse messo la testa a posto.
La carcassa del vitello diventò due pezzi, busto e sella. Prese un uncino e lo piantò nel busto per appenderlo nella cella frigorifera. Sul banco rimase il quarto posteriore.
Ieri lui non era venuto in macelleria, aveva passato la notte fuori e dalla cassa mancavano duecento euro. Quello c’è tornato dal ricchione e l’ha pagato coi miei soldi.
Appoggiò la lama seghettata sopra la colonna vertebrale e la cacciò giù, fracassando l’osso. Continuò dritto fino a dividere a metà la sella.
Quel figlio l’aveva tirato su da solo perché la sua povera moglie era morta quando il piccolo aveva sette anni.
L’aveva cresciuto a suon di bistecche, portandoselo in macelleria a imparare il mestiere del papà. Ma per disgrazia gli era venuto su male.
Pulì la sega strofinandola sul grembiule lercio, teso sul suo solido pancione come la pelle di un tamburo. La mise da parte e impugnò la mannaia. Piazzò due colpi decisi e tagliò due teneri cosciotti. Nonostante i suoi sessant’anni, aveva ancora forza da vendere in quelle braccia. Affettò solide bistecche una dopo l’altra, pensando al matrimonio che non avrebbe mai visto, ai nipotini che non avrebbe avuto e chiedendosi se poteva riuscire lo stesso a volergli bene.
Tranciò pezzi di vari tagli preparandoli per la vendita. In due ore riempì il banco della macelleria di carne fresca e alle nove aprì la bottega.
Ore d’attesa senza vedere nessun cliente quella mattina. Antonio Vitiello aspettava in piedi dietro il bancone, impettito e contenuto nel suo corpo massiccio simile a un vulcano in procinto di esplodere. La notte di veglia l’aveva reso stanco e nervoso. Per scaricare l’ansia aveva scavato un solco nel bordo di legno che abbelliva il bancone. Ficcò il coltello lì dentro e trascinò con forza la lama in avanti, vincendo la resistenza delle fibre lignee.
Erano le undici passate ma lui non arrivò.
Pensieri sempre più torbidi incupirono i suoi occhi fissi sul coltello che avanzava di un altro centimetro. La sua collera s’allargava come quel solco.
La porta del negozio si aprì, facendo suonare il campanello d’avviso. Alzò lo sguardo convinto che fosse lui. Si trovò davanti, invece, il sorriso scimunito della vedova Terzulli, che entrò nella macelleria coi suoi chili di troppo.
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