Pochi peli arricciati macchiavano le gambe muscolose del paziente del letto 17, perché quell’uomo non poteva che essere lui.

Un bel suicidio, per finire in bellezza la serata.

Il dottor Valla era seduto dietro alla scrivania metallica e asettica dello studio medico. Aveva provato a chiamare la polizia, ma il telefono sembrava guasto. Aveva un cellulare, da qualche parte, ma per ora preferiva attendere. Né la clinica, né i parenti di Napoleone Sanpetronio sarebbero stati contenti. E nemmeno la polizia.

Un suicidio non era così raro tra i pazienti di una clinica psichiatrica, ma era una bega che era meglio evitare.

Sfogliò preoccupato la cartella del paziente 17, per cercare di capirci qualcosa.

Napoleone era sgradito ospite da circa otto mesi.

Non era di certo un paziente modello: quando poteva, faceva girare i coglioni a medici e infermieri, insultandoli e resistendo alle terapie. Ma tutto il quadro faceva parte della sua patologia, c’era poco da fare, e le diarie non facevano che confermarlo.

“Anamnesi psichiatrica

Paziente lucido, orientato. Meticoloso nel vestire, ossessivo nella pulizia, con frequenti compulsioni (lavarsi le mani, spazzarsi i pantaloni, osservare le proprie dita…).

Nel dialogo si notano segni di disturbo di personalità antisociale, con frequenti asserzioni e insulti a qualsiasi tipo di autorità.”

“12/05/2005

Paziente agitato, si lamenta della scarsa pulizia delle stanze. E dei medici, arroganti, a suo dire, e menefreghisti. Parametri nella norma. Aumento Lexotan a XX gocce la sera”

“25/05/05

Ore 3:30

Il paziente, dopo avere portato di peso il letto del paziente 18 fuori dalla stanza, ha bloccato la porta e, nudo, ha iniziato a pulire ossessivamente la stanza, gridando insulti a medici ed infermieri. Grazie all’intervento dell’infermiere G., siamo riusciti a calmare e sedare il paziente. Ora riposa.

Parametri: PAO 140/85, Fc 88’ R.”

“25/07/05

Paziente tranquillo, non più segni di agitazione. Dopo due mesi di sedute, il paziente sembra migliorato nell’eloquio, nell’ideazione, nell’accettazione delle figure dei medici e degli infermieri.

Possibili dimissioni, se stabile, Lunedì”

Lunedì sarebbe stato dimesso.

L’ironia di un venerdì troppo presto.

Tranquillo, dicevano i medici, che evidentemente non avevano capito un cazzo. Il paziente si stava preparando, giorno dopo giorno, fingendo serena tranquillità. Covando rassegnazione, architettando una resa spettacolare.

Quello che veniva da chiedersi, era perché proprio a lui, dottor Valla, doveva capitare questa grana?

Continuò a spulciare la cartella, cercando di entrare nella testa del paziente, anche se di psichiatria non ci aveva mai capito molto.

Dal corridoio il frusciare di una scopa sostituì il silenzio opprimente della clinica, ma il dottore nemmeno se ne accorse.

Era immerso nelle trenta pagine della cartella, tra esami ematici, valutazioni da parte di altri specialisti e, al fondo, un test di Roscharch mai completato. C’era anche il risultato di un test di personalità, uno di quei test che si basano sulla statistica per capire le molteplici sfaccettature dell’animo umano.

La pazzia, secondo il dottore Valla, era una stanza bianca, dove è facile perdersi, confondersi, tra molteplici colori monocromatici. Difficile valutare tutto questo con una semplice curva Gaussiana.

Il risultato del test però sembrava non avere tentennamenti: personalità antisociale, con grave disturbo ossessivo-compulsivo, e una leggera psicosi.

Nessun dubbio sulla patologia mentale che aveva afflitto Napoleone, e questa diagnosi contrastava apertamente con la sua morte.

Più facile immaginare Sanpetronio a scheggiarsi unghie e dita insultando medici e infermieri, graffiando volti e pareti, piuttosto che abbandonarsi ad una morte lenta, silenziosa.

E poi c’era il capanno. Quello, davvero, non quadrava con il caro Napoleone e la sua ossessione per l’ordine e la pulizia.

Avrebbe dovuto guardare con più attenzione il corpo del paziente, e tutto il casotto, ma la sorpresa e l’ansia, ancora quell’ansia, l’avevano spinto ad un’occhiata frettolosa. Il tutto con la supervisore di quell’infermiere che non aveva battuto ciglio. Tutto normale, secondo lui, solo un altro pazzo che ha deciso di dare spettacolo.

Lasciò la clinica, e per la terza volta si tuffò nella notte; questa volta sicuro, deciso: sapeva cosa cercare e dove, soprattutto. Dall’erba corta salivano spire di vapore caldo, e una nebbia leggera e calda sembrava preannunciare un’alba tersa.