- Dottore, stia attento. Non si faccia sorprendere dall’ombra. Stia attento, ha capito?

- Starò attento, signora Vernissoni, glielo assicuro. Ora le faccio portare del Bromazepam.

Fece un cenno all’infermiere, due dita ad indicare venti gocce, non quindici, e uscì dalla stanza spegnendo la luce. La signora sembrava essersi tranquillizzata, almeno un po’. Il farmaco avrebbe fatto il resto. La paziente nel letto di fianco non si era accorta di niente, aveva continuato a dormire e grugnire frasi smozziacate. Meglio così.

Il dottore raggiunse l’ingresso, una grande sala con le pareti azzurre, piene di quadri colorati, allegri, e guardò il parco. Era davvero grande, anche per una clinica privata come quella, ma non lo era abbastanza per sfuggire alla malattia mentale.

Un sentiero di ghiaia scompariva sulla sinistra, inghiottito dal buio. Una panchina rifletteva la luce della luna, e qualche coccio di vetro sorrideva tra l’erba. Gli sarebbe piaciuto uscire, a farsi quattro passi, nell’aria notturna, ma preferì tornarsene dal suo lettino scomodo, quello buono solo per visitare i pazienti, e accendersi un’altra sigaretta. Quel gesto non sarebbe affatto piaciuto all’infermiere, all’apparenza così serio e ligio alle regole.

Lo si vedeva da come lo guardava, severo e marziale, che il dottore non gli era simpatico. Sembrava trattarlo con voluta noncuranza, come si tratta un estraneo appena arrivato in paese.

Pensando a come sarebbe stato bello ci fosse stata un’infermiera al posto di quell’uomo, e perdendosi in fantasie esplicite tra le ombre scure che erano alberi, cespugli e qualche macchia di rovi, finalmente si addormentò.

Erano le tre meno un quarto quando aprì gli occhi. Una sensazione, un fastidio, come quando qualcuno, dall’alto, ti fissa dormire.

La corsia era silenziosa, e fuori tutto sembrava tranquillo. Sembrava.

Fuori c’era qualcuno. Un’ombra, che dalla finestra si era mossa fuori dal capo visivo. Un’ombra che lo stava guardando.

Il dottore si alzò di scatto, corse alla finestra, l’aprì, e sbirciò nel parco. Tutto immobile. Ma il dubbio restava. Forse, la signora Vernissoni, aveva davvero visto qualcosa, o qualcuno.

Magari un paziente, in giro per il parco alle tre di notte, sotto la sua responsabilità.

Tornò nel corridoio che, silenzioso e deserto, sembrava dormire anch’esso. Dell’infermiere nessuna traccia, né in infermeria, né alle macchinette.

L’ombra che l’aveva agitato tanto poteva essere quella dell’infermiere, uscito nel parco a fumarsi una sigaretta, come da regolamento.

Non se ne sarebbe stupito: quell’uomo aveva uno sguardo ossessivo, doveva essere uno di quelli maniaci dell’ordine. Probabilmente gli avrebbe presentato il conto per la sfumacchiata in sala medici, il mattino seguente.

Comunque era meglio controllare che tutti i pazienti fossero nella loro stanza e nessuno di loro vagasse nudo per il parco.

Iniziò a controllare dalla stanza 1, con delicata fretta. Due uomini sulla trentina dormivano del loro sonno chimico. Bene. Stanza 2, tutto a posto, così anche nella stanza 3 e 4. Silenzio rotto da raucedine e borbottii incomprensibili.

Solo alla penultima stanza, qualcosa non andava.

Un anziano di almeno centoventi chili sprofondava nel letto, russando sonoramente. Di fianco, il letto 17, vuoto.

Il paziente doveva essersi stufato di quel concerto e aveva creduto preferibile starsene lontano, magari a godersi il fresco notturno del parco. E chi poteva dargli torto?

Però un paziente che passeggia di notte fuori dalla sua stanza è qualcosa da evitare assolutamente, soprattutto se questo paziente non ci sta tanto con la testa, e chissà cosa può combinare.

Altro che nottata tranquilla, altro che noia.

Diede ancora un’occhiata all’ultima stanza, e tornò all’ingresso, dove incrociò l’infermiere che lo squadrò burbero, come al solito.

- Ci sono problemi?

La sua voce era calma, pacata, quasi irreale nella penombra della stanza.

- Il paziente del letto 17 non è nella sua camera.

- Ha controllato nei bagni?

- No, ma credo di averlo visto nel parco.

L’infermiere lo guardò in tralice, come si guarda un bambino che ne ha combinata una grossa.

- Sa dove posso trovare una torcia?

Scosse il capo, irritato, ma fece segno di seguirlo.

Entrarono in una stanza lunga e stretta, stipata fino al soffitto da scatole di cartone contrassegnate da scritte blu, in stampatello: il magazzino della clinica.