La ragazza con le scarpe nere e bianche passa ogni venerdì pomeriggio. Ormai la conosco. E la riconosco. Anzi la riconosco e la conosco. Entra verso le cinque e mezza. Penso che sia perché lavora qui vicino. Ma non sono ancora riuscito a saperlo. Non è di molte parole, anzi, quasi non parla. Accenna un saluto quando entra, e un altro saluto quando se ne va. Spesso non sceglie niente. Guarda tutte le copertine dei film, a lungo. Le prende in mano, le gira, legge la trama, però alla fine non sceglie niente. Altre volte è indecisa, e prende due film. A Natale ha preso tre film. Aveva l’aria molto triste. Ho pensato che le servissero per passare il tempo. Ho pensato che non avesse nessuno con cui festeggiare. Avrei voluto invitarla. Però no. Non avrebbe mai accettato. Mi avrebbe preso per matto. E avrebbe scelto un’altra videoteca. Magari quella che sta giù, dopo la posta, quella nuova, che ha aperto da poco. La mia videoteca, invece, sta qui da dieci anni. Sarà per questo che non ci viene più nessuno. Vogliono tutti le novità, un arredamento nuovo, un commesso nuovo. Il fatto che io abbia anche film vecchi, film che altri non hanno, non gli interessa. Mi fa troppo arrabbiare questa cosa. Però non mi posso arrabbiare con i miei clienti. Perché quelli che vengono ancora qui non hanno colpa. Loro non hanno cambiato idea. E’ colpa degli altri, quelli che non vedo più.
La ragazza con le scarpe nere e bianche l’ho notata subito quando è entrata qui la prima volta, un anno fa. Appena l’ho vista ho sentito quella cosa nella pancia, e negli occhi. Quel senso del mondo che si ferma e gira velocissimo. Mi è capitato anche altre volte. Lo so benissimo cosa significa, quando mi prende così. Succede da quando ero bambino. Le chiamo vertigini, anche se non c’entrano niente con la paura del vuoto o delle altezze. Però l’effetto è lo stesso. Come se all’improvviso i miei occhi volassero in alto, lontano, rimanendo attaccati alla faccia, allo stesso tempo. E’ successo molte volte. La prima volta ero alle elementari. Avevo appena cambiato scuola. Sono arrivato in classe e la maestra mi ha fatto sedere vicino ad una bambina con i capelli rossi. L’ho guardata, la bambina, e ho sentito questa cosa, ho sentito la mia prima vertigine. Ero in alto, in alto, ma ero anche seduto nel banco e ascoltavo la lezione. Poi è successo di nuovo alle medie. Poi è successo molte altre volte. Sempre più spesso. Sempre più spesso. Poi capita che un giorno c’è una vertigine ancora più forte, e vado ancora più in alto, e mi sento male. E allora c’è solo un modo per fare passare la vertigine. Solo un modo.
La ragazza con le scarpe nere e bianche passa di qui ogni venerdì pomeriggio. Ora sta cercando un film da affittare. Ha in mano la custodia di Donnie Darko. Strano. L’ha già affittato tre mesi fa. Me lo ricordo. Io ho un’ottima memoria. Mi ricordo sempre tutto. Spesso non ho nemmeno bisogno di controllare i numeri di tessera. Sta tutto qui, in testa, ed è molto meglio di un computer, mi fido molto di più. E non mi sbaglio mai. Adesso ha messo di nuovo sullo scaffale Donnie Darko. Sta guardando le altre copertine. Sta cercando un altro film. Ha sempre queste scarpe nere e bianche, ma le mette solo quando c’è bel tempo. Quando piove ne ha un altro paio, come un paio di stivali. Si chiama Marta, la ragazza con le scarpe nere e bianche. So anche dove abita. Me l’ha scritto sulla scheda di iscrizione. Sono le regole. Nome, cognome, indirizzo, numero di telefono fisso. Così se non mi riportano i film posso anche denunciarli, in teoria, ma in pratica non l’ho mai fatto. Non vale la pena. E non cura le vertigini.
Guardo l’orologio. Oggi è passata più tardi. Sono già le sei. Tra un’ora potrò cominciare a mettere in ordine, per chiudere alle sette e mezza. Non ho messo un distributore automatico. Non ce n’è bisogno. Siamo sempre andati benissimo così, restando aperti solo il sabato fino a tardi. E’ l’unico giorno in cui passavano più persone. Poi hanno aperto l’altra videoteca, giù, dopo la posta, e da allora ho smesso. Qui non ci viene più nessuno. E le vertigini hanno cominciato ad aumentare. Un dottore una volta mi ha detto che non è una vertigine, ma una forma di ansia. Non gli credo. Non gli credo perché io sto bene. Sono tranquillissimo. Sempre. Sempre tranne quando succede così, che vado in alto e non riesco più a scendere, quando ho le vertigini forti. Allora so come farle passare. Allora c’è solo un modo. Solo uno. E non è come dice il dottore, con quelle pastiglie. C’è un metodo molto migliore. Di solito la vertigine arriva per un gesto. Un gesto anche banale. Una mano che sposta una ciocca di capelli. Un piede che resta immobile, un pò storto, mentre scelgono un film. Il modo in cui cambiano lato alla borsa. La delicatezza con cui prendono in mano la custodia di un film. Lo capisco subito, se una può darmi le vertigini. Lo capisco dal primo momento in cui entra dalla porta. La ragazza con le scarpe nere e bianche è così. Potrebbe darmi le vertigini. Però sto anche attento ad evitarle, le vertigini, ci sto davvero molto attento. Non la guardo quasi mai. Se non la guardo non ho le vertigini. E sto attento. Sto molto attento, davvero, ma non perché mi dispiaccia. E’ solo perché mi sono stancato. Non ho più l’età per fare tutto quello che bisogna fare, dopo, quando le vertigini passano.
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