Con il film ancora in pre-produzione, ma due romanzi già dati alle stampe – Tom Clancy’s Splinter Cell del 2004 e Tom Clancy’s Splinter Cell: Operation Barracuda del 2005 -, per la spy story di Ubisoft incentrata sulle missioni dell’agente segreto Sam Fisher è tempo di svelare più a fondo il suo universo e i suoi personaggi. L’immancabile videogame dalla chiave di lettura cinematografica è appena arrivato.
Tom Clancy’s Splinter Cell: Double Agent, primo capitolo della serie realizzato appoggiandosi alle meraviglie audiovisive di Xbox 360, non racconta la solita storia dei buoni contro i cattivi, ma mette il giocatore di fronte a un dubbio: cosa accadrebbe se l’eroe yankee per antonomasia si risvegliasse a fare il duro dall’altra parte della barricata?
L’escamotage è il classico incarico sotto copertura, che viene offerto all’unico agente Nsa che non ha nulla da perdere. Sam Fisher non è più il bel soldatino di una volta da quando un ubriaco gli ha ucciso la figlia e la recluta affidatagli dall’agenzia è caduta sul campo. Ecco perché potrebbe essere la persona giusta per infiltrarsi nella Jba, un’organizzazione terroristica che progetta di far scoppiare il mondo intero. E perché la risposta al quesito posto poche righe sopra non risulta poi così semplice. Di sicuro, non è univoca.
La psicologia di Sam Fisher e degli altri attori di Splinter Cell segue infatti, per quanto possibile, logiche interattive tipiche dei videogame. Nel senso che è legata alle azioni che il personaggio compie durante l’avventura; azioni che sono espressione della libertà interpretativa concessa da Double Agent al giocatore. Nell’ultimo Splinter Cell si può decidere una condotta, che nessuno vieta di modificare in base alle occasioni, pagandone nel bene e nel male le conseguenze. Un certo atteggiamento porta a conquistare più facilmente la fiducia dei terroristi, ma determina anche il graduale allontanamento dalla Nsa. O viceversa. Fino al gran finale, vertice di una curva ripida e responsabilizzante.
Mai come ora il mondo di Splinter Cell è stato nelle mani di Sam Fisher e della sua inedita, ambigua moralità. L’idea invero non è nuova, ma applicata alle logiche del techno thriller funziona molto bene e giustifica, con l’elasticità narrativa, approcci al gioco differenti: più da maestri dell’infiltrazione o più da macellai, più professionali o più psicopatici.
Di pari passo, l’evoluzione del racconto di Splinter Cell ha interessato la forma del videogame. La serie si è sempre distinta per la grafica sbalorditiva e questo primo episodio per Xbox 360 fa un ulteriore balzo in avanti. Non solo tecnicamente. È proprio la regia a ricercare un taglio visivo più spettacolare, con scene prese in prestito da Hollywood, quella più intensa e vertiginosa.
I geni cinematografici delle sequenze di intermezzo, spesso anch’esse interattive (da un lancio col paracadute che toglie il fiato a un atterraggio di emergenza), hanno lo scopo di sostenere il ritmo, durante l’avventura necessariamente ragionato in considerazione dell’impostazione furtiva della maggioranza delle missioni.
E per i nostalgici dei giochi di una volta, c’è la versione digitale di guardie e ladri. Equipaggiamento high-tech e modalità online. Creata per Ubisoft dai suoi studi italiani, a Milano.
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