Un barbone extracomunitario, alcolizzato e senza futuro, dalla mente annebbiata e dal passato oscuro, un omicidio senza senso e la consapevolezza di essere l’unica via per la verità. Una via fatta di riscatto e di prove da superare. E’ questo in sintesi l’incipit del nuovo romanzo di Massimo Mongai, autore conosciuto e apprezzato dai lettori, per la qualità dei suoi romanzi e per la sua inventiva (tra l’altro è stato vincitore del premio Urania, con l’ormai celeberrimo Memorie di un cuoco d’astronave). La memoria di Ras Tafari Diredawa si inserisce nella preziosa collana I luoghi del delitto della Robin Edizioni e rappresenta il primo ad avere come protagonista un eroe/non eroe dei nostri tempi, Tafari Diredawa per l’appunto, un ex-barbone etiope, che spronato dall’uccisione dell’unica persona che gli avesse dimostrato un minimo di affetto, Eurosia volontaria della mensa Caritas, si improvvisa detective e si getta alla caccia dell’assassino.
Il romanzo di Mongai ha uno stile scorrevole e accattivante, senza mai essere banale dimostra come si possa fare letteratura di genere senza per questo rinunciare a qualità della narrazione e intelligenza dell’intreccio. Si resta catturati dalle pagine e anche le numerose digressioni storico-geografiche si inseriscono perfettamente nella struttura narrativa come tante rotelle dell’ingranaggio.
Il personaggio di Tafari è costruito in maniera impeccabile tenendo conto delle differenze culturali, e dimostrando un attenzione non comune per il substrato sociale e psicologico nel delineare le personalità di un individuo, il quale cercando di dimenticare il proprio passato prossimo, fatto di alcool e disperazione, cerca di tornare agli onori e al rispetto di se che gli competono per il proprio rango.
L’ambientazione romana… anzi no… garbatellese della vicenda, le conferiscono poi un elemento di fascino in più, questo quartiere di Roma che sembra uscire direttamente da un'altra epoca, amato in maniera viscerale dall’autore, è lo sfondo ideale a volte quasi fiabesco di un originale caccia all’uomo, fatta di cene multietniche e chiacchierate in romanesco, moti d’orgoglio e segreti incoffessabili, il tutto fra le vie calme e paciose di un autunno romano.
Tutti questi elementi si fondono in un amalgama geniale e piacevole, che ci fa sperare di incontrare di nuovo e al più presto un uomo di colore, distinto e intelligente, poliglotta e dalla mente affilata, di nome Ras Tafari Diredawa!
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