Davvero un piccolo, raffinato gioiello, questo L’assoluta perfezione del crimine.
Il crimine di cui si parla è una rapina al Casinò compiuta la notte di San Silvestro: l’idea nasce una sera d’ottobre quando “lo zio” comunica che Marin, appena uscito di galera, ha avuto un’idea geniale per risollevare le sorti della loro famiglia criminale, un colpo definitivo che li riporterà allo splendore a cui hanno diritto.
Inizia così la preparazione del piano sino alla realizzazione ed al successivo epilogo, in una storia attraverso la quale Tanguy Viel ci guida con magistrale capacità.
La scelta narrativa è quella del racconto in prima persona di uno dei protagonisti, intercalato dal suo rivolgersi di tanto in tanto direttamente all’odiato/amato Marin: ne risulta una sorta di affabulazione sincopata, nella quale si alternano i fatti alle emozioni ed alle paure, un raccontarsi sommesso e roco.
Ma attenzione, questo impeccabile romanzo, per quanto introspettivo e acuto, resta comunque un romanzo molto duro, maschile. I personaggi sono piccoli delinquenti di una città di mare, alla ricerca di un colpo che rappresenti una sorta di riscatto - senza mai crederci veramente. La “famiglia” è un legame opprimente, ma è l’unico legame che conoscono. La città che vivono ha i confini ristretti della rada, della casa dello zio e del “Lord Jim” al cui bancone, tra i canapé color malva, vengono consumati uno dietro l’altro i cognac. Persino i soldi del crimine perfetto divengono una sorta di condanna per chi non ha un altro posto diverso da questo in cui andare.
Dev’esserci molto cinema e molta letteratura, nel bagaglio di questo giovane autore: questo romanzo è un’eccellente film in bianco e nero, che omaggia senza piaggeria i film di gangster di Jean Gabin e Alain Delon (ed è così che piacerebbe essere chiamati a Marin, non rapinatori, ma gangster o ras), con un immagini scandite con ritmo serrato. Sicuramente la scrittura si inserisce nel solco profondo di Izzo, Manchette, Malet, di chi insomma ha saputo creare una narrativa che va ben al di là del genere.
Ottima la ricostruzione d’ambiente, il litorale, la rada, la città, un paesaggio immerso nella semioscurità e nella nebbia.
E il mare, sempre presente, sempre intuito.
I personaggi sono una sorta di icona essi stessi: il vecchissimo padrino, insieme alla moglie archetipi di un mondo criminale fatto di lealtà che va scomparendo e che solo la loro ostinazione si affanna a tenere in vita, la magnifica Jeanne così malinconicamente soggiogata dal duro Marin, e loro, i rapinatori visti in decine di film ma qui non banalizzati, solamente condannati ad essere sé stessi.
Il romanzo scorre via veloce e senza incertezze anche perché Viel sa costruire una trama non banale in cui i mutamenti di spazio e di tempo spostano continuamente il punto di vista: l’epilogo, amarissimo, è davvero magistrale, con rumore della risacca a fare da nemesi all’assoluta perfezione del crimine.
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