D’estate, quando si ha magari un po’ più di tempo per leggere, si ha voglia di un buon romanzo giallo solido, corposo, di ampio respiro.
Merita allora una lettura attenta questo Perché Yellow non correrà, secondo episodio delle vicende del Commissario Melis pubblicate nella collana delle Fenici Tascabili.
Hans Tuzzi in realtà ci regala due storie. Due belle storie.
La prima, classica, è la narrazione dell’indagine sull’omicidio dell’ing. Claudio Galliera, irreprensibile funzionario in pensione che viene rinvenuto assassinato con due colpi di pistola alla testa all’ippodromo di San Siro: a questa morte, i cui indizi si svelano a poco a poco indicando direzioni apparentemente contrastanti (il Brasile, la ricerca di una antica biblioteca alchemica trafugata dai nazisti, il mondo dell’ippica) si lega a poco a poco la morte di un barbone trovato sfigurato vicino alla stazione centrale.
Protagonista della vicenda è il Commissario Melis, figura elegante, colta, un filino malinconica che più di un omaggio rende al Commissiario Maigret: affascinante, questo Melis, i cui atteggiamenti e pensieri fanno pensare a un uomo più vecchio forse dei suoi nemmeno quarant’anni, attorniato da figure di contorno che, per quanto classiche, non scadono mai nell’iconografia banale o nella parodia. L’ambiente poliziesco che ruota intorno al commissario è sì popolato da personaggi che anche le fiction ci hanno poi insegnato ad identificare: l’agente meridionale e sanguigno, il vice fedele ora promosso a nuovo incarico, la fidanzata paziente, e via discorrendo ma sono resi con caratteri credibili, interessanti, riconoscibili come reali.
La trama è solida e ben costruita, in cui l’autore – pur prendendosi tutto il tempo necessario per descrivere gli eventi – non perde mai di vista il ritmo narrativo. E fin qui la prima storia.
La seconda storia che Tuzzi racconta al suo lettore è quella di Milano: o meglio, di una Milano. Che non è più la città plumbea degli anni di piombo ma non è ancora la Milano da bere: la Milano in cui pochi anni prima si erano mossi personaggi come Luciano Liggio, Sindona, come Calvi, modificando pesantemente ma in modo sotterraneo un tessuto sociale, economico e di rapporti di potere che tanto avrebbero inciso sulle vicende dell’Italia dei decenni a venire. La città di imperi fulmineamente nascenti e vicende oscure come l’omicidio Ambrosoli, l’eroe borghese. Ma è una città che viene più intuita e ipotizzata dai personaggi di Tuzzi, perché a parlare sono i protagonisti che appartengono al mondo delle persone perbene, appena sfiorate dal delitto e spettatori preoccupati più che attori di quell’altra Milano di potere e trame oscure.
L’autore ha uno straordinario senso del dettaglio, riesce a trasmettere “l’odore” di quelle situazioni o quegli anni attraverso dettagli magari minori – un’immagine del Presidente Pertini, un dettaglio della moda dell’epoca – ma che ricuciono immediatamente anche per il lettore il filo della memoria, con piacere e un po’ di malinconia che sono la cifra stilistica apprezzabilissima di questo gran bel romanzo.
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