Mario si passò una mano sul volto, esausto; perché stesse raccontando i suoi segreti ad una sconosciuta non lo sapeva, ma capiva che ne aveva bisogno, si sentiva disperato e incosciente al punto che aveva quasi voglia di ridere, sentiva che era scattato qualcosa che lo aveva portato vicino alla fine, e se era la fine di quella sofferenza andava bene, qualunque cosa fosse, e allora tanto valeva buttarsi, a occhi chiusi tra quelle nuove braccia di speranza.
“L’ho cercato” le disse, “…non mi importava più di niente, ma dovevo chiudere il conto con quello che me le aveva ammazzate; e l’ho trovato… non se l’aspettava che lo trovassi… me lo ricordo ancora, giovane, con quella faccia… quasi albino, i capelli biondissimi, la barba rada, gli occhi azzurri e freddi… è stato un attimo e avevo la sua testa tra le mani. Gli ho spezzato il collo.
Quella è stata l’ultima volta, da allora scappo, mi sono fermato tante volte, sperando sempre di averla scampata, sono andato all’estero, lontano…ovunque…ma mi trovano sempre, l’ultima volta due mesi fa e ora sono qui… che ho anche finito i soldi. Ma adesso sono davvero stanco”.
Pareva senza difese, vuoto e sgonfio come fosse l’involucro dell’uomo che era; la seguì fuori dal ristorante e tornarono in albergo in silenzio e solo quando lei gli propose di salire in camera insieme, Mario sembrò riprendere timidamente vita, e quella luce fioca sul fondo si riaccese cercando cancellare la fatica enorme di quella giornata.
Sulla porta della stanza la baciò come per cercare forza da quell’abbraccio, poi lei sparì in bagno, e lui si sedette sul letto, nella solita posizione rituale.
Se ne stava lì con la fotografia in mano a guardare il suo passato, fissando il suo dolore che gli sorrideva felice ma con la confusa sensazione che sarebbe stata l’ultima sera che lo faceva, una sensazione dolorosa ed entusiasmante allo stesso tempo; poi a un tratto sentì la porta del bagno aprirsi alle sue spalle, sorrise al pensiero di quella sua incosciente ma felice giornata e alla speranza debole che l’accompagnava, non si accorse nemmeno della camicia che improvvisamente si era inzuppata di un rosso scuro come quella notte che pulsava dietro le imposte, né del sangue che aveva macchiato la foto nelle sue mani. Si girò premendosi istintivamente il petto, con gli occhi fissi di stupore e lei era lì, rigida sulla porta del bagno con la pistola stretta nel pugno, e sparò ancora.
Morì così, con uno strano sorriso interrogativo dipinto sul volto; lui che di gente morire ne aveva vista tanta, se ne andava così, con un espressione incredula e un po’ ebete in una stanza qualunque del Due Sirene Hotel, stringendo in mano una fotografia sgualcita e macchiata si sangue.
Poco distante dal suo corpo, sul pavimento, c’era un’altra foto, forse era caduta a lei o forse gliel’aveva buttata addosso di proposito dopo averlo freddato; si vedeva solo un uomo biondissimo, quasi albino con gli occhi azzurri e la barba rada che teneva in braccio avvinghiata a sé una bambina.
E questa aveva occhi bellissimi, solo un po’ nascosti da lunghi capelli rosso acceso.
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