Ma Water interruppe presto il suo pensiero: “La signorina ha fatto un incidente stasera, qui dietro, sulla provinciale per il mare… stava andando giù verso Lecce, vedesse la macchina mado’ che scempio, e lei un miracolo… si è fatta niente. Diteglielo pure voi signorina”.
Lei lo fissò in silenzio con un sorriso ampio a labbra unite carico di intenzione, Mario allora dovette decidersi a guardarla e con fatica, come se sollevasse un carico di mattoni, alzò lo sguardo su di lei.
“Dio ma è giovanissima!” pensò, …“attento”.
“Dimostra sì e no vent’anni”, …“no, non ci cascare”.
“Potrei essere suo padre!”… Ecco. Centro!
E a quel pensiero una fitta dura e violenta come la punta di un trapano gli sembrò bucargli il petto e riempirgli l’anima di buio, un buio denso come quella notte, solo sottilmente striato di rosso.
Ebbe istintivamente un sussulto e il suo volto si contrasse impercettibile in una smorfia di dolore, che colse Walter e lo stupì.
“E’ anche lei del nord?” chiese la ragazza.
Mario scosse leggermente la testa in un atteggiamento che voleva risultare educatamente evasivo ma che riuscì soltanto goffo, e di nuovo la guardò, in silenzio, mentre Walter, consumato psicologo da bar, correva in suo soccorso con qualche commento banale sulle auto e sulla pericolosità delle strade, riempiendo l’aria di provvido rumore che nessuno ascoltava.
Era bellissima, non tanto per il suo aspetto, ma perché in sé aveva qualcosa di giovane che sembrava colorare con prepotente naturalezza tutto ciò che aveva intorno.
Se ne stava lì seduta, così fuori posto al bar di quello squallido alberghetto fuori dal mondo, dove sarebbe stata sicuramente più adatta una donna più vecchia, magari col trucco pesante e un po’ sfatto e i vestiti audaci a sottolineare il saldo patetico della sua sensualità; invece c’era lei e stava lì, dondolando un po’ le gambe sullo sgabello come una bambina, i capelli rosso acceso che le nascondevano appena gli occhi bellissimi, scarpe da ginnastica e un maglione verde ampio portato un po’ così, “un po’ sformato su un paio di jeans” pensò, e al ricordo della Farewell di Guccini, il fantasma di un sorriso, dopo secoli, sembrò cautamente sfiorargli il viso.
“Mi deve scusare ma sono molto stanco….” tagliò Mario “…me ne vado a dormire, buonanotte”. E si avviò verso le scale, mentre la voce di lei lo rincorreva accennando a qualcosa sull’indomani e sul fatto che lì era talmente un deserto…e che magari…si sarebbero fatti compagnia…
Giunto in camera sapeva che avrebbe preso sonno a fatica, e sapeva anche perché; perse di proposito più tempo del solito a prepararsi per la notte, come se lavarsi i denti per cinque minuti di più potesse salvarlo dai fantasmi che si apprestavano a fargli compagnia appena spenta la luce; poi, quando gli alibi che quella stanza di tre metri per cinque poteva fornire furono del tutto esauriti, tirò fuori dalla sua sacca un astuccio di pelle, ne estrasse una fotografia e si sedette sul bordo del letto tenendola in mano. Era sgualcita e un po’ spiegazzata, consumata dagli occhi e dal tempo, e vi si vedeva uno scenario tipo festa di compleanno finita da poco, con un tavolo da sparecchiare, qualche festone e avanzi vari di un tempo felice, in piedi una donna vestita di chiaro sorrideva accanto a una bambina sui dieci anni che stava seduta al tavolo, e sembrava dondolare le gambe.
Restò così, immobile, chino sulla foto per i minuti che bastano a comporre un’eternità, poi all’improvviso si alzò come chi ha finito di dire le preghiere della sera, ripose con cura la foto nel portaritratti e questo nella sacca, e con la stessa cura ne estrasse una calibro 9, la caricò, vi applicò il silenziatore, la collocò per bene sotto al cuscino, e tenendola ben stretta in pugno chiuse gli occhi, sperando di dormire.
Uscì sul piazzale deserto che in piena stagione doveva servire da parcheggio, che il sole era già alto, un sole deciso che sottolineava i colori violenti e bellissimi di quella natura che si abbracciava all’Hotel Due Sirene; il verde della collina di fronte, il giallo ancora bruno delle distese di grano sottostanti e il blu cupo del mare che brontolava poco distante percosso dal vento freddo di questo inverno che non se ne voleva andare. Si soffermò come tutte le mattine a guardare il paesaggio sfruttando la posizione sopraelevata dell’albergo che dava l’illusione di osservare il mondo di nascosto dal mondo, e come tutte le mattine indugiò un poco prima di decidersi a muoversi, senza meta per le campagne come faceva ormai ogni giorno; che cos’altro poteva fare in fondo uno come lui se non girare lontano da tutti, evitando accuratamente di mettere radici? Cos’altro poteva fare un fuggiasco come lui?
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