Il primo era un solitario. D’inverno se ne stava sempre chiuso in casa e in paese si diceva che odiasse tutti gli animali, a parte le pecore. Snoopy però era stato ucciso in giugno, e il pastore era già al lavoro negli alpeggi. Lo cancellai dalla lista.
Il secondo, il contadino, aveva un movente: Snoopy aveva ucciso due sue galline. L’aveva fatto per gioco, ma quando mio padre cercò di scusarsi, lui pretese denaro o un tavolo da lavoro nuovo come risarcimento. Mio padre decise di pagarlo e tutto sembrava risolto. Nei giorni seguenti, però, portando a spasso Snoopy, il contadino lo additò più di una volta con aria di sfida, come volesse vendicarsi.
Decisi che il contadino era l’indiziato principale. Ora dovevo solo incastrarlo.
Mia madre era in cucina a preparare la cena e io uscii di casa senza farmi vedere. Andai al bar in piazza dove sapevo avrei trovato il contadino. Nel bar c’era odore di stalla, il pavimento era coperto di segatura per via della pioggia scesa due notti prima. C’era anche mio padre e quando mi vide rimase sorpreso. Gli dissi che stavo cercando l’assassino di Snoopy, che avevo qualche indizio, un nome, e lui rise come per prendermi in giro. Lo guardai storto e tornò subito serio in rispetto del mio lutto. Gli indicai un uomo al bancone, intento a bere vino rosso, e s’incuriosì ricordando ciò che era successo con le galline.
Presi coraggio e mi avvicinai al contadino, seguito da mio padre che mi teneva una mano sulla spalla. Il contadino indossava una camicia scozzese azzurra a righe nere. In realtà era verde, come scoprii dopo, ma sono daltonico e quindi non faceva molta differenza. La camicia era strappata e sul braccio cercai speranzoso i segni dei denti di Snoopy. Vidi solo un grosso cerotto beige. Chiesi al contadino cosa avesse fatto al braccio, come mai la camicia era strappata. Per riposta farfugliò qualcosa di incomprensibile e mio padre gli ordinò di ripetere. Lui si giustificò dicendo che si era tagliato tra i vigneti e aggiunse, guardandomi dritto negli occhi, che lavorava tutto il giorno e non passava le mattine a scuola e i pomeriggi a giocare con uno stupido cane. Poi pescò dalla tasca della camicia un pacchetto di MS. Sorrisi: era in trappola.
Mio padre andò al telefono, chiamò i carabinieri e sulle sue labbra vidi spuntare un ghigno soddisfatto. Offrì al contadino un altro bicchiere di vino e quando i carabinieri arrivarono al bar mi chiese di raccontare tutto.
Pieno di orgoglio feci vedere ai carabinieri il lembo di camicia e il pacchetto di sigarette che avevo trovato. Lasciai perdere la corda che avevo in tasca e spiegai perché il contadino avesse torturato e ucciso Snoopy. Lui non ci vide più dalla rabbia e urlò che odiava il mio dannato cane e tutti i cani che gli avevano ammazzato galline, e concluse promettendo che avrebbe continuato a uccidere i cani colpevoli. I carabinieri lo portarono di peso in questura, dove mio padre firmò una denuncia.
Quella sera stessa, in giardino, raccontai alla tomba di Snoopy come avevo fatto a scoprire il suo assassino. Gli confidai anche che da grande mi sarebbe piaciuto fare il detective privato.
Ho mantenuto il proposito: il mio studio si chiama Snoopy Investigazioni.
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