Talvolta, leggendo un buon romanzo – e questo L'uomo di spalle sicuramente lo è – si chiude il libro pensando: bello, però…

Andiamo con ordine: Giobbe Dilei vive una vita ostaggio della madre, la dolce e terribile Catena. Il suo amore morboso lo perseguiterà anche dopo che Catena avrà ucciso la fidanzata Eva, e sarà presenza dilagante che controllerà la vita di Giobbe anche quando questi finirà prima in carcere e poi in manicomio, lo stesso manicomio dove è già rinchiusa la sua Mater Terribilis.

Giacomo Cacciatore affronta in questo romanzo di perfetta architettura una storia coraggiosa da raccontare in un paese “mammome”: il ricatto dell’amore materno fagocitante e oppressivo che si esprime nei dei gesti abitualmente ad esso legati, primo fra tutti il cibo. Giobbe, che ama i libri di amore fanatico, si trova a barattare il tempo della lettura con il tempo della cena.

“Allora vediamo, quanto sei rimasto a leggere, 32 minuti? Fanno un primo, un secondo, il dolce. E una lunga chiacchierata con me, Giobbino”.

Catena rappresenta con completezza portata al paradosso estremo il desiderio di controllo (materno, spesso semplicemente femminile) della vita di Giobbe: governandone la vita, dà un senso alla propria. Costringendolo alla sottomissione e alla mediocrità, si sente superiore. Obbligandolo a essere perennemente figlio, permette a sé stessa di essere perennemente Madre. Anzi, La Madre, e nello svolgersi del romanzo affascina quanto questa figura divenga dominante e immensa al di là dei ristretti confini familiari.

Nella vita di Giobbe le donne non possono entrare, perché tutte sono considerate presenze minacciose e malate: in questa vita solitaria, chiuso in un rapporto claustrofobico, Giobbe insegue perennemente “l’uomo di spalle”, quella figura che dall’età di sei anni gli compare in sogno e gli dice qualcosa che lui non ricorda ed insegue, emblema di una figura paterna mai esistita e al tempo stesso appiglio per una speranza di fuga dall’amore materno.

Cacciatore dimostra in questo romanzo un’ottima capacità di ispezione dell’animo umano, delineando un’acutissima analisi psicologica dei personaggi e dei rapporti che li legano. C’è ancora quel però: romanzo bello, però si ha spesso la sgradevole sensazione che ci sia una fretta, una velocità nella narrazione che stona con un romanzo che è sì pieno di accadimenti, ma che ha il suo pregio maggiore nella rappresentazione degli aspetti psicologici della vicenda. Questo rapporto claustrofobico madre – figlio è fatto di ansia, e l’ansia si alimenta con la lentezza: l’azione invece tende a prevalere, i personaggi di contorno sono spesso liquidati con eccessiva fretta ed è un peccato perché questi camei rischiano lo stereotipo quando invece la loro singolarità meriterebbe qualche riga in più. Inoltre la ricerca dell’uomo di spalle è una ricerca in una memoria lontana nel tempo, tempo dell’infanzia soprattutto, e Cacciatore esprime proprio in queste righe fatte di dettagli e ricordi la propria scrittura migliore come, tanto per citare una piccola perla, nel tema scolastico dedicato alla domestica Giustina.

È comunque un romanzo che vale la pena leggere perché inconsueto, coraggioso, provocatorio, di grande forza analitica, i cui protagonisti sono descritti in modo compiuto e coerente: la scrittura è piacevole, elegante e spesso originale e c’è da augurarsi che il talento di questo scrittore possa esprimersi prossimamente in un romanzo di più ampio respiro.

(Marina Belli)

Giacomo Cacciatore, calabrese di nascita, palermitano d’adozione. Scrittore e giornalista, collabora con l’edizione cittadina di La Repubblica, ha pubblicato romanzi a puntate e diversi racconti su antologie personali e no. Di recente, ha scritto a quattro mani con Paolo Albiero il saggio Il terrorista dei generi - tutto il cinema di Lucio Fulci.

E di generi il nostro se ne intende: mescola in un bel pentolone annerito, anzi annoirito, il romanzo psicologico, d’investigazione, di (de)formazione, lo splatter, il thriller. Tempo di cottura, a detta dello stesso autore, quattro anni. Risultato: L’uomo di spalle, una sorta di Psycho che sa di amara ironia, ricordi coperti di polvere di soffitta, sangue e caponata.

Al centro della vicenda, come nel romanzo di Robert Bloch, il rapporto morboso tra una madre e un figlio, che in questo romanzo sono rispettivamente la signora Catena e Giobbe Dilei.

Una mammina ingombrante e sanguinaria, forse anche di più della signora Bates, che soffoca il figlio fino a cancellargli dei ricordi, spingendolo sul limite di una pazzia ossessiva che ha la forma di un uomo di spalle che, fin dall’età di sei anni, compare in sogno a Giobbe.

Ma non è un romanzo "a due", oltre ai morti ammazzati ci sono: un boss mafioso, grottesco quanto verosimile, con relativo tirapiedi, un avvocato inetto con la toga sporca (in tutti i sensi) e uno psichiatra che, ossimori permettendo, sembra o è uno scienziato pazzo, la psicologa Anna Matera, che aiuterà il nostro Giobbe nel tentativo di liberarsi della madre e di recuperare il suo mondo sommerso.

Un romanzo complesso, pieno di sfumature emotive, riferimenti, citazioni. No, non un semplice esercizio di letteratura postmoderna. Molto di più.

Giacomo Cacciatore dimostra un maturità letteraria eccezionale, fondendo in un unico, malinconico e ironico registro diversi stili, toccando corde che tutti noi esseri umani abbiamo e che suoniamo in silenzio, a testa bassa, tutti i giorni della nostra vita, fino a quando non ce ne accorgiamo, di quel suono, e piangiamo, ridiamo o, troppo spesso, ce ne dimentichiamo.

(Fernando Fazzari)