Sophie, Céline e Anne sono tre sorelle la cui infanzia è stata segnata dal suicidio del padre. L’arrivo di Sébastian nella vita di Céline le costringerà a tornare su quel tragico evento…

Sul modo in cui Krzysztof Kieslowski avrebbe girato questo Inferno nulla si può dire; su come lo ha girato Danis Tanovic sì.

Regia da entomologo, per di più con un metro e mezzo di ghiaccio tra lui e il resto del film. Ne segue che la manciata di personaggi che si muovono in una Parigi quanto mai neutra seppur riconoscibile (Eiffel e baguette per lo più…), appaiono come più che incapaci di rapportarsi agli altri e soprattutto a loro stessi, tutti alle prese con una commedia umana che beffardamente si esercita a riproporre delle costanti, tipo quella che vede degli uomini cacciati dal nucleo famigliare.

Il problema è che più la storia stenta a decollare, e stenta parecchio, più Tanovic sembra divertirsi un mondo nello spacciare le ennesime coppie che scoppiano (Sophie/Beart alle prese con un marito fotografo e fedifrago e Anne/Gillain con l’amante professore universitario per niente intenzionato a continuare la storia…) come qualcosa di nuovo, ma è gioco forza accorgersi che di nuovo c’è ben poco.

Ovvio che nel nulla che la fa da padrone, fatta salva una brevissima digressione filosofica nella differenza tra coincidenza e destino, con quest’ultimo che in quanto forza implacabile ha una dignità e uno spessore maggiore rispetto alla prima, una qualunque sorpresa non può che far bene all’attenzione, ed ecco l’arrivo del terzo personaggio maschile, tale Sébastiane, la cui venuta chiarisce quanto sin lì rimasto oscuro, vale a dire due flash-back posti all’inizio del film.

Cos’altro aggiungere? L’enfer come struttura somiglia in tutto e per tutto a un dardo che corre diritto filato verso il bersaglio. Come tutti i dardi si disinteressa a tutto tranne che all’obiettivo finale. Nella fattispecie il bersaglio è un foglio bianco dove la madre/Bouquet, muta e canuta, traccia lentamente ma implacabilmente una sola frase: "Io non mi pento", frase che appurato dove sta la colpa e dove l’innocenza, consegna il film ad un abisso di crudeltà non comune, fermo restando che apre più quesiti di quanti non riesca a chiudere.

Ma il destino, cinico e baro, che fa? Fa tornare alla mente quello scambio di battute fulminante tra Harrison Ford e Tommy Lee Jones in Il fuggitivo: "Sono innocente", gridava Ford rivolto al suo implacabile inseguitore. "Non me ne frega niente" gli rispondeva quest’ultimo.

Basta questa associazione contundente (per via della disparità dei contesti…) per mandare allegramente all’aria qualsiasi ulteriore riflessione su L’enfer