Chi è Yasmina Khadra? Inizialmente le quarte di copertina annunciano uno pseudonimo dietro cui si cela un’autrice algerina; poi nel 1999 Khadra rivela di essere un uomo e l’anno successivo, dopo essere uscito dall’esercito, si manifesta come Mohamed Mulessehoul, alto ufficiale delle Forze Armate algerine con l’hobby della scrittura e per questo mal tollerato dalle alte sfere.
E infatti lo pseudonimo nasce quando la pressione dei superiori si fa intollerabile; sua moglie gli presta i suoi due nomi e Mulessehoul inizia la saga del commissario Llob dapprima in Algeria nel 1990 con Le dingue au bisturi e poi direttamente in Francia nel 1997 con Morituri. Un caso (il maggiore incoraggiamento a scrivere da parte del suo insegnante) l’ha portato a scegliere il francese anziché l’arabo, ma il suo eroe è totalmente calato nella realtà algerina contemporanea e ha almeno un punto di contatto con l’autore: anch’egli, infatti, è un funzionario dello Stato con l’hobby del romanzo poliziesco
Il commissario Llob, musulmano moderato, sposato con Mina, ormai appassita, da cui ha avuto tre figli (e il primo se ne va di casa oppresso dal padre poliziotto), trascorre la sua esistenza grama di malpagato servitore dello stato e di obiettivo “sensibile” degli integralisti islamici. La sua squadra è formata dal suo vice Lino e dall’ispettore Serdj: quest’ultimo verrà ucciso nel corso dell’inchiesta mentre Lino maturerà gradualmente la sua ribellione contro lo stato di cose in Algeria.
Llob, in quanto integerrimo poliziotto, viene incaricato da un ex potente del regime socialista; Ghoul Malek di ritrovare sua figlia Sabrine: ma l’indagine lo fa precipitare in un autentico girone infernale che ruota attorno a un equivoco locale, il “Limbo rosso”.
Mentre Llob scorrazza per Algeri con la sua scassatissima Zastava, assediato dalla paura ma deciso ad andare sino in fondo, attorno a lui muoiono come mosche amici, artisti, indagati, colleghi. Llob si trova stretto tra la nomenklatura del regime, che vive nel fasto e nella mollezza ai danni della popolazione algerina, e la ferocia ottusa degli integralisti che uccidono senza pietà bambini, uomini e donne innocenti, manovrati da guru nati dal nulla come il fantomatico Abou Kalybse.
L’unico rifugio per il combattivo Llob sono il vecchio saggio Da Achour e il collega commissario Dine che ha pagato sulla sua pelle l’intransigenza nel cercare i responsabili della morte di un pezzo grosso del mondo finanziario.
Il finale è, letteralmente, esplosivo: più che la soluzione del mistero della ragazza scomparsa intriga la ricostruzione della nascita dell’integralismo islamico in Algeria da spezzoni emarginati del vecchio regime; e affascina anche vedere come Lob che ha portato a termine la sua impresa smascherando il fantomatico Abu Kalybse, sia stato, senza volerlo, una pedina al servizio degli interessi di una delle fazioni in lotta.
La sua dirittura morale e l’impossibilità che la giustizia regni in Algeria lo portano nel finale a una decisione estrema che risparmiamo ai lettori: resta però l’amaro in bocca di una società che, mutatis mutandis, appare malata e quasi impermeabile all’onestà investigativa come la Sicilia di Sciascia.
È questo il maggior merito del romanzo: quello di far aprire gli occhi del lettore su una pagina recente, ma già dimenticata, di una guerra civile in cui a pagare sono stati sempre gli stessi, quei poveracci che non hanno mai avuto alcun guadagno né dalla rivoluzione socialista e nazionalista né dalle promesse di un integralismo davvero troppo compromesso col passato.
La scrittura si avvale di una vena umoristica innestata su immagini talvolta molto poetiche che sembrano porre il romanzo su un piano diverso dai soliti crudi noir contemporanei: un tentativo letterario di esorcizzare una realtà troppo dura per il commissario-scrittore Llob, scoperto alter ego dell’autore.
Voto: 8
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