È un piacere ritrovare Giancarlo Narciso (che in questi giorni è presente sul mercato con un’altra escursione nell’esotico peri tipi di Aliberti) non solo nelle librerie italiane ma anche con un volume di gradevole aspetto e consistenza per numero di pagine. La soddisfazione è doppia non solo perché ritratta di un “vecchio” collega dei tempi della gloriosa Granata Press ma anche perché con Jack (ah, non lo sapete, si fa chiamare anche Jack Morisco e fa parte di quella famigerata legione straniera degli autori italiani di segretissimo, autore della serie Banshee di cui il prossimo mese leggerete L’arma Birmana) condividiamo l’amore per l’Asia e quel senso di straniamento che l’espatriato occidentale finisce per provare inevitabilmente dopo un prolungato soggiorno all’equatore.
È proprio questa condizione di espatriato coinvolto in brutti raggiri ma dominato da una sorta di male di vivere che poi così male non è ma ricorda quasi l’effetto di una presa di oppio che rivela la vena genuina e più autenticamente originale di Narciso e Incontro a Daunanda (una storpiatura di down under, locuzione ripresa da un vecchio motivo dei Men at Work, qui citati in pidgin asiatico) ne è forse la più felice realizzazione sulla pagina scritta. Ancora di più che nei precedenti romanzi si coglie quel sapore melanconico dell’uomo maturo che non ha saputo trovare un posto integrato nella società occidentale e ha creduto di fuggire verso un’Asia sognata che, assieme alle promesse di seduzione, gli riserva sorprese, non sempre piacevoli. Un tempo questo genere di avventure e personaggi erano appannaggio degli autori anglosassoni e anche francofoni. Loro avevano le colonie, noi ci potevamo permettere, forse, qualche vergognosa escapade in Africa occidentale. Ma Narciso ribalta il punto di partenza. Quell’occidente da cui fuggono i suoi personaggi8e qui ne ritroviamo due trai suoi più cari Rodolfo di Singapore Sling e Josè Louis di le Zanzare di Zanzibar) è molto vicino a noi. Potremmo dire che è l’Italia stessa e la fuga, ammettiamolo, ha più di una valida ragione. E non è necessario fuggire in una ex colonia, proprio perché noi, italiani del ventunesimo secolo, ormai di possedimenti d’oltremare abbiamo perso finanche la memoria. Ci si rifugia in un’Asia che forse è stata sognata tra le pagine di Salgari, forse nei film, magari rappresenta un orizzonte caldo, popolato da creature di sogno, dove si può tirar mattina tra un joint e una birra. Narciso racconta di atmosfere e luoghi che conosce e ha filtrato attraverso le sue letture realizzando quell’intreccio tra sogno e realtà che da sempre condivido. Perciò nel “giallo” che ne segue il protagonista ti trascina, ti avviluppa al di là del meccanismo. La scrittura e la struttura narrativa di Narciso a questo punto escono dal genere, diventano percorso umano senza la calcolata ambizione di chi si sente auteur. Il meccanismo del thriller, qui risolto con una serie di intuizioni felici forse più del solito, passa quasi in secondo piano perché è dell’atmosfera, dello stato d’animo dei protagonisti che più c’importa e ciò perché narciso non impone ma si attarda con naturalezza nella descrizione di luoghi che sono anche pennellate di stati d’animo. Insomma una prova matura, felice nella realizzazione quanto nella tenuta sufficientemente ampia della trama. S’intuisce l’amore per una scrittura classica malgaro l’anima vagabonda, vagamente keruackiana di Narciso. Un romanzo che mi è particolarmente piaciuto perché in un’epoca di Codici, Graaal, Serial Killer e mille altre mode letterarie narciso ha seguito con coraggio la “sua “ strada, regalandoci una vicenda nuova nel suo percorso ma che ci riporta piacevolmente a certe suggestioni che non vivevo dalla lettura delle storie di Corto Maltese. Chissà cosa ne verrebbe fuori se Narciso decidesse di scrivere una lunga avventura di uomini (e donne, sono sempre affascinanti e centrali nei suoi libri) di espatriati persi in un Oriente che per metà è sogno e per metà cruda realtà, senza preoccuparsi di trovare colpevoli e assassini? Una storia lunga, un ROMANZO fuori dal genere. Potrebbe essere veramente la nuova sfida della narrativa italiana che nasce dal genere ma, in qualche modo se ne distacca senza tradirlo. Giancarlo ormai ha tutte le carte per tentare l’avventura. Vento alle vele dunque, caro Jack, e ci ritroveremo su un’isola, al tramonto circondati da esotiche fanciulle a bere birra e ad ascoltare le strida della foresta.
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