Si è da poco conclusa l’ottava edizione del Far East Film Festival di Udine, finestra d’eccezione sul cinema asiatico, raramente visibile nelle sale del nostro paese se non per alcuni noir sud-coreani o per gli horror giapponesi - molti dei quali ebbero per altro il loro primo domicilio italiano proprio a Udine. Ambientato nella sede principale del Teatro Nuovo San Giovanni da Udine e in quella “distaccata” del Visionario, il FEFF è anche una bella occasione per entrare in quella dimensione parallela di tempo immobile e accellerato che l’Estremo Oriente rappresenta per chi lo osserva con genuina sorpresa e curiosità.
L’ingresso del teatro, tappezzato di locandine di molti dei film in concorso - fra i quali il vincitore Welcome to Dongmakgol del coreano Park Gwang-Hyun, Always del giapponese Yamazaki Takashi o l’intenso You and Me della regista cinese Ma Liwen - presenta una pavimentazione coloratissima che immerge subito lo sguardo in un caleidoscopio di tinte schizofreniche e gioiose, quasi una girandola di luci e insegne al neon tipiche delle città-templi dello shopping diffuse in Oriente. Uno dei film in concorso, The Shopaholics, di Wai Ka-fai, celebra addirittura la quintessenza dell’anima consumista di una di queste città, Hong Kong, isola dello shopping per eccellenza.
E proprio un maestro di Hong Kong, il regista Johnny To, accompagna il nostro frugare fra i libri e i dvd messi in vendita sui banconi con alcune sue foto originali, in mostra sulle pareti in esclusiva per il FEFF di quest’anno: alcuni primi piani struggenti, scene di gangster e scorci di conversazioni buie avvolte dal fumo e dalla diffidenza del mondo malavitoso... Accanto al merchandising ufficiale del festival, sfilano pubblicazioni in diverse lingue (soprattutto in inglese e in francese, ma anche spagnolo e italiano) sui temi più disparati concernenti l’universo orientale: fra questi, l’architettura e la pittura cinese contemporanee; il cinema coreano; le radici antropologiche, politiche e sociali dell’horror giapponese; album fotografici sulle locandine del film hongkonghesi; monografie su Hou Hsiao Hsien e Tsai Ming Liang... poi i libri cominciano a diradarsi, lasciando spazio al reparto dvd, una vera e propria manna dal cielo. Oltre alle pregevoli pubblicazioni italiane della Mikado e di Raro video - fra i titoli, presenti ad esempio Days of Being Wild di Wong-kar wai, da tempo introvabile in Italia, e la trilogia di Tetsuo, The Iron Man - il bookshop del festival presenta infatti una serie di prodotti originali d’importazione (spesso in unica copia) dai prezzi non sempre accessibili ma di sicuro interesse. Fra gli scaffali, figuravano per esempio l’edizione limitata dell’horror splatter di culto The Untold Story di Herman Yau, nonché un cofanetto speciale a 60 euro circa del celeberrimo e violentissimo documentario Men Behind the Sun di Mou-tun fei - entrambi polverizzati nel giro di pochi giorni dagli appassionati.
Salendo le scale, si giunge al reparto “Ospitalità”, organizzato dal Centro Espressioni Cinematografiche, dove è possibile ritirare il proprio tesserino d’ingresso come “media” (categoria giornalisti), “guest” (registi e attori ospiti del festival), “cinephile” (gli appassionati di cinema, solitamente soci del CEC), “università” (categoria studenti delle facoltà di lettere e DAMS presenti a Udine, e ancora di storia del cinema, da tutta Italia e dall’estero) o “market” (gli addetti della distribuzione e/o produzione). Insieme al tesserino, gli addetti all’ufficio ospitalità distribuiscono anche il catalogo e il programma del festival. Le proiezioni sono ad accesso illimitato per chi è provvisto di tesserino, mentre il pubblico locale e i non addetti ai lavori pagano un biglietto giornaliero o singolo. A fianco allo stand dell’ospitalità, vi sono le postazioni internet, dove potersi collegare per inviare i propri articoli in tempo reale o anche solo per controllare la posta; nel foyer posto accanto alle postazioni telematiche, è possibile prenotare le interviste con gli artisti ospiti del festival o, se si è perso un film già proiettato, visionarne una copia in tranquilla solitudine.
La sala di proiezione è unica e vi si può accedere sia dal piano terra che dal primo piano, in corrispondenza delle gallerie. Il pubblico e gli addetti ai lavori hanno due ingressi differenti; quest’anno, per facilitare l’afflusso di persone, gli organizzatori hanno abolito la pratica di dover prenotare il proprio ingresso alla visione di un dato film, permettendo così a tutti di decidere con meno stress cosa vedere e cosa no anche all’ultimo momento. All’ingresso in sala, i membri dello staff distribuiscono le cedoline per le votazioni sui film in concorso, collocabili nell’apposita urna nera vicina all’uscita dall’edificio.
Fra i film in concorso quest’anno si è potuta registrare un’ampia presenza di pellicole di Hong Kong e Corea del Sud, un discreto numero di film provenienti dalla Thailandia e dal Giappone, più quattro dalla Cina continentale e dalle Filippine e uno da Taiwan. Fra i generi presenti, oltre alla rassegna sui musical, tutta concentrata nel Teatro Visionario, predominante è stata la commedia nelle sue varie sfumature, adolescenziale - l’applauditissimo Linda Linda Linda del giovane regista Yamashita Nobuhiro - amorosa - When Romance Meets Destiny del coreano Kim Hyun-seok - psicologico-esistenziale - 2 Become 1, il brioso film sul tema del tumore al seno dell’hongkonghese Law Wing-cheong - o melodrammatica - Dear Dakanda del tailandese Khomkrit Treewimol. Esigua di numero, anche se non di qualità, la presenza dei thriller o noir, fra i quali citiamo Murder, Take One, dello stesso regista del fantasy vincitore, Welcome to Dongmakgol, o il notevole Rampo Noir, film giapponese a episodi ispirato ad alcuni racconti di Edogawa Rampo. Deludente nel complesso la scelta dei film horror, se si eccettua il promettente e originale The Heirloom di Leste Chen, fra l’altro unico taiwanese presente nella rassegna e proprio in un genere finora rimasto inedito a Taiwan (ma, vista la qualità della sua opera, ci sono buone speranze che il futuro dell’horror risieda proprio qui).
Il pubblico del festival di Udine è fra i più variegati che ci possa essere; molto bello in particolare è stato vedere tanti adolescenti cinesi, figli di immigrati stabilitisi a Udine tanto tempo fa, ridere e scherzare prima e durante una proiezione e l’altra. Bellissimo, inoltre, sentire le reazioni del pubblico di fronte alle scene clou con cui i propri beniamini si trovano alle prese - quest’anno è toccato a Andy Lau, la cui apparizione in un cameo nel film I’ll Call You di Lam Tze-chung è stata accolta da un boato dall’intera sala.
Finite le proiezioni - i film scorrono sullo schermo dalle 9.30 del mattino fino alle 2 di notte inoltrate - si torna verso l’albergo che l’hospitality del FEFF ci ha gentilmente prenotato. Camminare per Udine sia di giorno che di notte - immersi nel sole o nella pioggia, al buio o nella luce, coi fiori di pesco ai lati del fiume e il ristorante cinese La vecchia pescheria lungo il tragitto che porta dall’hotel al teatro e viceversa, è forse l’esperienza più suggestiva che si prova soggiornando al festival. Soprattutto, perdersi nel suono dei propri passi, che rintoccano sull’asfalto nel silenzio assoluto della notte, neanche un’ombra attorno se non il lieve svolazzare dell’impermeabile nel vento, catapulta l’immaginazione verso atmosfere noir fuori dal tempo, così irreali in una tranquilla cittadina del Friuli che per dieci giorni si ammanta di Oriente, come una lacrima di luce o una mandorla luminosa, viva e pulsante nel bagliore della memoria. Udine così asiatica, con la sua aria schiva e insieme aperta, pudica e silenziosa, bruciante di caldo umido e invasa dalla pioggia... una fermata senza sosta, una visione senza confini, nel tempo e nello spazio. Prossima fermata, Udine, verso un festival che merita molta attenzione per le numerose perle d’Oriente che svela ai nostri occhi.
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