La selezione può comunque essere utile per cogliere le principali tendenze manifestatesi nell’arco di cinquant’anni, dal cinema d’autore a quello di denuncia, dalle farse alle parodie raffinate, dalle commedie di costume alle ricostruzioni storiche.
In nome della legge, Pietro Germi, 1949
Tratto dal romanzo Piccola pretura di Lo Schiavo, il primo film importante che si occupa direttamente di mafia in Italia.
Il ligure Germi, innamorato della Sicilia, traduce la lezione del western americano in una storia di grandi e mitici antagonismi, con un capomafia che sa bene cos’è il senso dell’onore e un giovane pretore combattivo che se ne serve per riportare l’ordine in paese.
Salvatore Giuliano, Francesco Rosi, 1961
Film fondamentale, in cui la mafia viene riletta come elemento chiave in un contesto segnato da arretratezza economica, ambiguità delle istituzioni e rivendicazioni sociali.
Il bandito Giuliano, mai inquadrato in volto, diventa l’emblema dei tanti misteri che segnano la storia italiana dopo la Liberazione, con uno spericolato uso strumentale della mafia per controllare il territorio.
L'onorata società, Riccardo Pazzaglia, 1961
Saruzzo Messina e Rosalino Trapani, ovvero Franco e Ciccio, devono fuggire dalla Sicilia per sottrarsi alle ire del capomafia cui hanno sedotto le figlie.
Basta guardare i nomi “geografici” dei personaggi, per capire il livello della prima parodia sulla mafia, ricca di stereotipi e di anacronismi storici, con i mafiosi dipinti come bonari cafoni di campagna.
La mafia vera, intanto, è già sui mercati internazionali.
Mafioso, Alberto Lattuada, 1962
Alberto Sordi è un siciliano che vive a Milano, con moglie comasca e figlie biondissime, perfettamente partecipe del boom economico.
Tornato in Sicilia in vacanza, viene utilizzato dalla mafia, in quanto insospettabile, per uccidere un boss rivale negli Stati Uniti.
Sceneggiato da Ferreri, un film in anticipo sui tempi che sa leggere le comunanze tra sistema mafioso e sviluppo economico “legale”.
Le mani sulla città, Francesco Rosi, 1963
Una denuncia esplicita delle collusioni tra potere politico e ambiente mafioso per la spartizione del territorio.
In pieno boom economico Napoli è divisa tra chi specula e controlla il gioco delle concessioni edilizie e chi, con poche speranze, cerca di opporvisi.
Leone d’Oro a Venezia, il film è il capostipite e uno degli esempi più riusciti del cinema di impegno e denuncia.
Il giorno della civetta, Damiano Damiani, 1967
Dal romanzo di Leonardo Sciascia una trasposizione che semplifica la complessità del libro: i picciotti sono molto caricaturali, mentre Don Mariano fa un figurone, con l’onore delle armi riconosciutogli anche dal suo avversario, il capitano Bellodi interpretato da Franco Nero.
Simbolo dell’operazione: Claudia Cardinale, in un personaggio che nel libro è minore e nel film ha invece largo spazio.
Anche l’occhio vuole la sua parte.
A ciascuno il suo, Elio Petri, 1967
Dietro le apparenze di un delitto passionale si cela in realtà un crimine mafioso.
Un professore, interpretato da Gian Maria Volonté, non si accontenta della versione ufficiale e trova i nessi che portano sulla pista giusta.
Ma la mafia non gli permette di giungere in fondo, uccidendolo.
Tratto da Sciascia, un amaro apologo sulla mafiosità diffusa in tutti gli strati sociali.
Il sasso in bocca, Giuseppe Ferrara, 1970
A partire dal documentatissimo libro di Michele Pantaleone, il film indaga i legami tra mafia italiana e americana, ricostruendo circa mezzo secolo di storia con uno sguardo ben diverso dalle versioni ufficiali dei manuali scolastici.
Emblematicamente, il titolo si riferisce al modo in cui la mafia lascia il segno su chi viene ucciso perchè infrange l’omertà, scegliendo la denuncia.
Il prefetto di ferro, Pasquale Squitieri, 1977
Giuliano Gemma è il prefetto Mori che, mandato in Sicilia durante il ventennio fascista per combattere con inflessibilità la mafia e il banditismo, verrà nominato senatore e trasferito.
Ricostruzione storica basata sulla lettura del romanzo omonimo del revisionista Arrigo Petacco.
Con Claudia Cardinale.
Mi manda Picone, Nanni Loy, 1983
Non è propriamente una storia di mafia, almeno non nel modo in cui siamo abituati a intendere tale genere.
È esemplare comunque la ricostruzione del sottobosco napoletano in cui camorra, contrabbando e sopravvivenza convivono apparentemente senza uno scopo preciso e quasi in una atmosfera di disperazione surreale.
Con Giancarlo Giannini e Lina Sastri.
Cento giorni a Palermo, Giuseppe Ferrara, 1984
La rievocazione puntuale e cronachistica della missione palermitana di Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Il ritratto di un personaggio che, oltre la determinazione pubblica, viene reso nella sua dimensione più personale e privata, con i dubbi sempre crescenti sull’effettivo interesse dello Stato a combattere realmente la mafia.
Il camorrista, Giuseppe Tornatore, 1986
Ispirato al romanzo di Marrazzo che ricostruisce l’ascesa e caduta di Raffaele Cutolo a capo della Nuova Camorra Organizzata, l’esordio di Tornatore è un sontuoso melodramma che propone una riflessione non banale sulla mafia vista dall’interno.
Fu boicottato politicamente per i chiari riferimenti alle connessioni tra camorra e Stato nella vicenda del rapimento Cirillo.
Mery per sempre, Marco Risi, 1989
Dal libro di Aurelio Grimaldi, l’esperienza di un insegnante nel carcere minorile di Palermo, con i giovani detenuti che ritengono la mafia un bene, un’identità collettiva in cui specchiarsi.
Tra melodramma e opzioni neo-neorealistiche, un film chiave, con Michele Placido che sveste i panni dell’ispettore Cattani nella Piovra e cerca un dialogo che sembra impossibile.
Il film ha avuto un seguito, Ragazzi fuori (Risi, 1991).
Johnny Stecchino, Roberto Benigni, 1991
Un uomo semplice viene assunto dalla mafia come sosia di un boss pentito, per attirare le rappresaglie dei clan rivali.
Parodia non banale che va oltre il gioco degli equivoci e fa riflettere sul rapporto tra ciò che si vede e ciò che si sa della mafia, tra stereotipi e sorprese.
Memorabile la lista dei problemi di Palermo, in cui il più grave in assoluto è, ovviamente, il traffico.
La scorta, Ricky Tognazzi, 1993
Ispirato alla storia vera del giudice Taurisano, il film si inscrive nel filone degli eroi sconosciuti e dei martiri della giustizia, insistendo sulla solitudine in cui si trova chi combatte la criminalità diffusa.
L’opera ha contribuito alla diffusione dell'immagine popolare del “buon poliziotto”.
David di Donatello per la migliore regia.
Il giudice ragazzino, Alessandro Di Robilant, 1994
In contrasto con la spettacolarizzazione televisiva e la mitizzazione degli eroi dell’antimafia quest’opera dallo stile minimale fa emergere, senza retoriche, tutte le insicurezze, i dubbi e le paure di un protagonista della lotta per la legalità.
Ispirato alla vera storia del giudice Livatino, ucciso dalla mafia nel 1990.
Testimone a rischio, Pasquale Pozzessere, 1996
Dalla vicenda reale di Piero Nava, testimone casuale del delitto Livatino, un film sulle ripercussioni dolorose di un gesto di civiltà: vita in pericolo, rapporti umani e familiari che diventano precari, trasferimenti continui, perdita del lavoro.
Con uno Stato che non sembra voler veramente tutelare il coraggio di un cittadino qualunque.
Lo zio di Brooklyn, Daniele Ciprì e Franco Maresco, 1996
Ciprì e Maresco non possono essere definiti né avanguardia né sperimentazione.
La loro opera si impone per una ormai avvenuta completezza letteraria in cui le situazioni estreme che superano il grottesco definiscono una condizione di povertà radicale.
I mafiosi del film sono una parte del paesaggio universale che, avendo perduto ogni contenuto culturale, non fa che replicarne segni vuoti.
Tano da morire, Roberta Torre, 1997
Il primo musical sulla mafia, ma soprattutto un film serissimo che affronta gli stereotipi delle rappresentazioni mafiose e indaga con grande acutezza le simbologie vigenti all’interno dell’Onorata società, con particolare attenzione per la condizione femminile.
A prescindere dai giudizi, un film necessario.
Teatro di guerra, Mario Martone, 1998
Una compagnia teatrale d’avanguardia prova la tragedia di Eschilo I sette contro Tebe in un teatro dei quartieri spagnoli.
Fuori e dentro la finzione c’è la Napoli della guerra tra le cosche rivali, dei fiori agli angoli delle strade per i morti ammazzati, degli abusi dei boss di quartiere che comunque cambiano troppo rapidamente.
Una guerra vera contrapposta alla guerra recitata in una città in cui la camorra è un segno del degrado.
Placido Rizzotto, Pasquale Scimeca, 2000
La mafia del dopoguerra e le origini rurali del potere mafioso sono qui delineate a fondo.
Scimeca, nella descrizione del personaggio di Rizzotto, un sindacalista ex partigiano che tentò di opporsi allo strapotere dei latifondisti, restituisce un’immagine autentica di un martire della mafia, sul cui omicidio indagò con successo un giovane Dalla Chiesa.
Grandi sequenze degli interrogatori in cui ogni teste depone una sua verità.
I cento passi, Marco Tullio Giordana, 2000
La storia, commovente e sinceramente partecipata, di Peppino Impastato, l’uomo che si prese gioco della mafia ed ebbe il coraggio di denunciarne abusi e speculazioni.
Giordana ne ricostruisce la formazione e le gesta fino ai tragici momenti dell’omicidio ordinato da Tano “Seduto” Badalamenti.
Il film, insieme a Placido Rizzotto, segna anche il ritorno di un certo cinema di impegno e memoria, come testimonia anche l’omaggio/citazione a Le mani sulla città di Rosi.
Luna Rossa, Antonio Capuano, 2001
Film a flashback sulla storia di una famiglia camorrista.
Il pentitismo diventa qui spunto narrativo e pretesto per mostrare costruzione e decostruzione del potere come fatto violento, ma anche come pulsione privata e passionale.
Il senso del tragico fa perdere di vista l’orizzonte razionale di denuncia e fa emergere in modo forte gli elementi simbolici del film come l’inedito cielo grigio di Napoli.
Angela, Roberta Torre, 2002
Una storia di mafia al femminile girata con un registro diverso rispetto ai precedenti lavori della Torre.
Angela è la donna di un mafioso in carcere e la storia viene presentata attraverso la sua esperienza.
Uno dei migliori film di mafia perché esula dai soliti cliché di rappresentazione del fenomeno.
Traffic, Steven Soderbergh, Usa 2000
Traffic presenta, in modo a volte esplicito e “forte” un insieme di storie legate al mondo del narcotraffico negli Usa.
Più personaggi intersecano la loro vita riproponendo i drammi anche violenti dettati dalla logica del potere e dello scambio droga/denaro, che si gioca sull’esistenza delle persone.
Il film contiene molti aspetti della cultura della droga, polizia, tossicomani, potere e soldi, senza mai assumere un atteggiamento moralista, ma cercando invece di cogliere le implicazioni esistenziali che la presenza delle sostanze a tutti i livelli comporta.
Segreti di stato, Paolo Benvenuti, 2003
Un’altra rappresentazione della strage di Portella della Ginestra, connotata da un’interpretazione storica di forte denuncia.
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