Uno scrittore relativamente sconosciuto che, di botto, diventa un fenomeno editoriale e supera ogni previsione dominando le classifiche per più di un anno è destinato a croci e delizie. Queste ultime soprattutto per il suo portafoglio ma anche in termini di soddisfazione, che diamine! Quale autore non vorrebbe vedersi così “esposto” nelle librerie e nelle classifiche. Non facciamo i finti modesti! Da questo nascono anche le croci perché tra milioni di fan adoranti spuntano immancabilmente gli snob che giurano e spergiurano che quella è spazzatura e gli invidiosi (di cui sopra) pronti ad attribuire ogni merito alla pubblicità. Di fatto è logico domandarsi perché un romanzo indubbiamente avvincente come Il Codice Da Vinci abbia travalicato i limiti del successo abitualmente tributati anche ai libri più riusciti diventando un “oggetto” a sé, da regalare per far bella figura (magari nell’inutilissima ma piacevole edizione illustrata), da possedere, da elogiare senza magari averlo neppure aperto. È già successo, ma il caso Brown merita una riflessione. Come narratore sono un divoratore di romanzi ma anche di film, telefilm, fumetti e quant’altro perché la creatività, la fantasia sono talenti che bisogna coltivare e, sinceramente, mi entusiasmo ogni volta che riesco a trovare un libro o un filone che mi accendono quella lampadina che dice “però, questo ci sa fare”. Devo ammettere che con Brown mi è capitato così anche se, per natura mia e forse per esperienza, riesco a vedere limiti e furbizie. Senza arrivare al paradosso della moglie di un mio amico che confessava candidamente di “aver scoperto il Cenacolo” e tante altre opere d’arte grazie al Codice Da Vinci, il romanzo mi è piaciuto, m’ha intrigato sin da principio tanto che mi son procurato gli altri, i precedenti, che ora verranno pubblicati mentre per le novità –giustamente- il nostro sta centellinando i suoi sforzi. D’acchito mi vengono alla mente alcune osservazioni. Dan Brown conosce il suo mestiere. I suoi libri - che esorto tutti a leggere in originale perché è sempre nella lingua in cui uno scrive che si può apprezzare meglio uno scrittore e lo stesso vale per i film – sono costruiti con grande tecnica, i personaggi benché stereotipi perfettamente caratterizzati e soprattutto Brown mostra di conoscere due trucchi fondamentali di ogni scrittore di successo. Il primo era già stato rivelato da Jeffery Deaver durante una presentazione di un suo romanzo. Per tenere avvinta l’attenzione del lettore occorre impegnare il protagonista in una continua serie di deadline, come una corsa a ostacoli a tappe: finita una, subito via con la successiva. Che Brown poi abbia “condito” questo meccanismo inserendoci formule, indovinelli a volte ispirati all’arte rivela una doppia furbizia, non solo perché rivela di sapere che l’artificio dell’indovinello è sempre stimolante (dal successo di La Settimana Enigmistica a Tomb Raider dovremmo saperlo…) ma accoppiato a nozioni di cultura generale diventa irresistibile. Il secondo “trucco” da scrittore nasce, a mio avviso, da una attenta osservazione del racconto cinematografico e televisivo che oggi influenzano pesantemente anche la scrittura. Capitoli brevi, scanditi sempre in modo da stimolare il lettore ad andare avanti, a leggere un altro frammento e un altro ancora. Non si tratta solo di fornire al lettore traguardi facilmente raggiungibili (questo lo ha fatto anche Christian Jacq altro autore di best seller criticato sì ma vendutissimo…) ma di agganciarlo e non mollarlo più, impedendogli anche di vedere errori e incongruenze, se proprio vogliamo. Padroneggiare questa tecnica non è cosa da poco. Vi faccio un esempio. Da diverso tempo ho adottato personalmente questo genere di scansione, riducendo le pagine dei vari capitoli, frammentando la vicenda in blocchi brevi. Se la tecnica funziona sono io stesso che, al momento della stesura, mi ripeto: “ma sì, dai, scrivi un altro frammento, un’altra pagina…” Be’, vi assicuro che se l’autore diventa prigioniero di questo meccanismo - che principalmente nasce dall’entusiasmo per ciò che si racconta- facilmente lo trasmetterà al suo lettore.
E Brown ha dato prova non solo con il Codice, e con Angeli e Demoni ma anche negli inediti Digital Fortress (il mio preferito) e Deception Point. A questo punto approdiamo a un punto più delicato della questione che certamente susciterà dibattiti. Dico subito quello che è il mio pensiero. Brown è un ottimo professionista, non un autore letterario e le sue storie funzionano perfettamente per il ritmo come intrattenimento intelligente. Farne un pilastro della cultura solo perché cita Leonardo, ha visitato i monumenti di Città del Vaticano o conosce la formula di Fibonacci sarebbe un errore marchiano… e non è che ciò non sia avvenuto. A parer mio è un abile artigiano come dovrebbe essere ogni scrittore di thriller. Lo era prima del successo mondiale del Codice da Vinci e gli auguro di rimanerlo in futuro. E allora come mai i suoi romanzi precedenti, pur pubblicati, erano passati praticamente inosservati al grande pubblico e il circo editoriale li aveva snobbati per riscoprirli proprio adesso? Se li leggete vi accorgerete che, sotto il profilo puramente tecnico-narrativo, la differenza non è molta. Presentano gli stessi pregi e gli stessi difetti del Codice. Forse vale la pena di interrogarsi sulle ragioni di questo successo così inarrestabile. A questo punto già mi pare di udire un coro che protesta. Certo, con un lancio pubblicitario e una simile esposizione (leggi tiratura) nelle librerie era difficile mancare il colpo. Vero, ma non sempre pubblicità e diffusione decretano un successo e, se pur si può rimproverare a una casa editrice di non riservare la stessa attenzione a tutti i libri che pubblica indipendentemente dal valore, il passa-parola dei lettori ha funzionato. Sicuramente molti si sono lasciati impressionare da fenomeni di propaganda, da quella patina di erudizione condivisa che il Codice Da Vinci possiede e ha abilmente sfruttato. È mia opinione che le ricerche dell’autore (attività che fa parte del suo mestiere) siano state eseguite con cura ma non rappresentino di per sé un valore “culturale”. Il Codice ha avuto successo perché unisce all’abilità di tessere una trama avvincente la capacità di divulgare in un tutto organico leggende, storia, un po’ d’arte, esoterismo insomma una serie di argomenti che i lettori avevano quantomeno già sentito nominare (tanto che i due testi di riferimento citati dallo stesso autore Il santo Graal e I segreti dei Templari) erano già stati pubblicati con discreto ma non travolgente successo e poi sono stati riscoperti insieme a tutta una sequela di libercoli sulla decifrazione del Codice Da Vinci. Signori, questa è la formula del successo di Brown: divulgare argomenti che “sono nell’aria” legandoli a una storia avvincente.
In pratica si tratta di una verniciatura di cultura, esoterica e non, che fornisce al lettore la giustificazione di leggere un thriller ma gli dà l’illusione di avere tra le mani qualcosa di più. Per carità, va benissimo ma è meglio rendersi conto di cosa realmente sono le cose. Magari per apprezzarle di più. Brown ha fatto il colpaccio cogliendo il desiderio di esoterismo, di misticismo artistico e di emozioni, sostenuto da politiche di marketing ma anche i suoi romanzi precedenti avevano seguito la medesima tecnica. Forse il mondo dei codici cifrati e del controllo satellitare delle comunicazioni (in pratica una spy story nel caso di Digital Fortress) o il presunto ritrovamento di un meteorite con tracce di vita aliena nell’Artico sfruttato come mossa elettorale erano argomenti meno “forti” di quelli del Codice da Vinci e di Angeli e demoni (non a caso precedente al Codice, con lo stesso personaggio ma meno accattivante come argomento) per cui non sono riusciti a sfondare quella barriera, costituita, alla fine, da lettori non abituali o comunque non così assidui nell’acquisto e nella ricerca di nuovi testi. Da narratore a narratore non posso che complimentarmi con Brown proprio perché vedo qual è il suo talento reale, senza mitizzarlo ma riconoscendo che ha saputo cucire (e i suoi editori italiani e stranieri con lui) un prodotto di grande vendibilità dal quale, molto modestamente, tanti, io per primo, possiamo imparare qualcosa. Che sia nato un nuovo guru della letteratura ho i miei dubbi e, soprattutto, sono certo che, nel corso di quest’anno siano stati scritti e pubblicati romanzi meno fortunati al botteghino ma altrettanto meritevoli di essere letti e scoperti. L’invito perciò è rivolto proprio a te, caro lettore. Compra pure il best-seller che trovi incolonnato in gigantesche piramidi all’ingresso del tuo megastore, probabilmente ti piacerà moltissimo. Poi, fai uno sforzo, gira tra gli scaffali, guarda le copertine, leggi i risvolti, magari affronta la prima pagina di qualche romanzo sistemato di costa. Potresti avere delle sorprese e trovare qualcosa di tuo gusto.
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