Attualmente, nell’ambito della letteratura d’indagine scandinava, la Danimarca, a differenza per esempio della Svezia, non occupa certamente i primi posti per la qualità e la quantità di opere  in circolazione, soprattutto al di fuori dei confini nazionali. Eppure, se non ricordiamo male, fu un autore danese, Anders Bodelsen, che negli anni Sessanta non solo riuscì a sbarcare con successo negli USA ma addirittura a farsi tradurre nell’allora anglofilissimo “Giallo Mondadori”.

Il poco più che quarantenne Jens Henrik Jensen, è invece popolare soprattutto in patria (ne fanno fede i siti Internet che parlano di lui, quasi esclusivamente danesi) e ha al suo attivo solo cinque romanzi tra i quali spicca la trilogia dedicata all’agente segreto della C.I.A. Jan Jordi Kazanski. Come al solito, in Italia si è pensato bene di offrire ai lettori la seconda avventura, Il Giullare di Murmansk: e siccome il libro non sembra aver avuto il successo sperato (uno scrittore straniero di noir, quando sfonda da noi, esce con scrupolosa cadenza annuale), la curiosità soprattutto sulle avventure passate (a Cracovia nel 1997, alle quali si accenna anche in questo romanzo), ma anche su quelle future (a Banja Luka, in Bosnia, nel 2002), non saranno soddisfatte.

Peccato, perché il romanzo, pur non presentandosi come un capolavoro del genere spionistico, tuttavia un certo potere d’attrattiva ce l’ha.

L’autore evita di tirare in ballo la Danimarca, evidentemente troppo poco appetitosa per una trama internazionale, ma si sposta di poco. Con qualche puntata negli USA e a Madrid, il romanzo è prevalentemente ambientato nella penisola di Kola e precisamente a Murmansk, città prima sovietica e ora russa, tristemente nota come porto-cimitero dell’imponente flotta di sottomarini nucleari dell’ex superpotenza. Il tema ambientalista (che fine faranno quelle scorie radioattive che preoccupano così tanto gli europei e soprattutto i norvegesi?), declinato anche nei suoi aspetti più istrionici (le due pasionarie che, prima di scomparire, si fanno riprendere nude come mamma le ha fatte per attirare l’attenzione dei media occidentali), fa da sfondo a un ritratto impietoso della società russa, preda di consorterie, prime fra tutte quelle militari, e di mafie che cercano di approfittare del tumultuoso passaggio da un’economia pianificata a una turbo-capitalistica.

E allora in un autunno incipiente, tra il grigiore di una terra votata al buio e al gelo, si intrecciano i destini del nostro agente C.I.A. Kazanski, alle prese coi fantasmi del passato (una moglie e una figlia morte, un’amante perduta, una dipendenza dall’alcool) e del presente (l’amico svedese in coma a Madrid dopo un’aggressione); dell’ex ufficiale delle forze speciali sovietiche Viktor Sjapkin, che cerca di rifarsi un futuro vendendo al miglior offerente un compromettente filmato su un’azione segreta della Flotta del Nord; di un tenente della Milizia, Valentina Susjko, dalle frequentazioni ambigue e pericolose; e attorno a loro è tutto un turbinare di agenti dei servizi segreti norvegesi, del G.R.U., il servizio segreto militare russo, dell’F.S.B., l’ex K.G.B., e di guardie del corpo dell’inquietante magnate russo Maxim Maximov, tra cui l’ineffabile Giullare, uomo dai doppi e tripli giochi.

Ed è proprio questo personaggio, un albino che va in giro vestito di nero con un cilindro sul capo e un corvo appollaiato sulle spalle, che si rivela alla fine il più debole di tutti, il più inverosimile: come se nel giovane autore danese fosse scattato un involontario omaggio agli eccentrici avversari di James Bond; con la differenza che è passato quasi mezzo secolo dalle avventure dell’agente segreto 007 e dagli epici scontri con maniaci e supercattivi di mezzo mondo. Non a caso, assieme al personaggio del Giullare, è proprio il finale a lasciare insoddisfatti.: anche qui rimane irrisolta l’ambivalenza tra un finale classicamente consolatorio (alla James Bond, appunto) e uno modernamente aperto senza che l’autore decida per l’una o l’altra opzione.

Spy story dunque dignitosa, senza acuti, affascinante quanto basta per l’ambientazione nordica e per l’attualità del tema, con personaggi da rivedere all’opera per definirne meglio le caratteristiche e le potenzialità. 

 

Voto: 6.5