Rappresentante di un filone di letteratura che ambisce a unire l’esigenza di una scrittura più intima e individuale con l’emergere della differenza femminile nel tessuto narrativo, Lin Bai è una delle scrittrici cinesi più interessanti del panorama letterario contemporaneo, autrice di diverse opere considerate in patria “scandalose”, in quanto manifestazioni autentiche del desiderio femminile in tutta la sua corporea intensità. Il racconto La panca nel loggiato, presentato per la prima volta alle lettrici e ai lettori italiani dalla Halley edizioni e corredato da un’esaustiva introduzione e da un’intervista all’autrice, racchiude molte delle tematiche care a Lin Bai: la metamorfosi del luogo natale - Beiliu, cittadina dal clima subtropicale nella provincia del Guangxi, al confine con il Vietnam - in spazio fantastico e onirico; la sinuosa e insidiosa presenza degli elementi naturali (in questo caso, l’acqua rossa del Mekong) come simboli del tumulto interiore della protagonista; il sapore intenso della femminilità, idealizzata, idolatrata, dipinta con immagini lunari e senza tempo, sospesa in toni allusivi che nascondono spesso temi “audaci” quali l’autoerotismo e l’amore saffico.
Strutturato su continui salti temporali, dal passato degli anni ’40 al presente degli anni ’90, il racconto sovrappone i ricordi di Qiye, serva ormai anziana della bellissima Zhu Liang, terza signora del funzionario di partito ormai in disgrazia Zhang Mengda, ai turbamenti della narratrice, in visita nei luoghi della sua infanzia. A Shuimo, non molto lontano da Beiliu, la narratrice s’imbatte in un maestoso palazzo rosso conosciuto come Residenza Zhang: stregata dalla bellezza dolente del palazzo, la narratrice entra nelle sue stanze, come irretita da una forza oscura. Al secondo piano, una tazza di thé ancora calda giace solitaria e immobile sulla panca, come in attesa di qualcuno o qualcosa che la desti dalla stasi: è forse un fantasma a nascondersi in quel piccolo oggetto, o è forse la misteriosa donna intravista in lontananza a incarnare quello stesso fantasma? A poco a poco, sentendosi preda di una febbre sconosciuta, la narratrice entra nel mondo segreto e silenzioso di Qiye, che le racconta il passato attraverso le foto e le stoffe dell’indimenticabile Terza Signora, da lei evidentemente amata in maniera totale e assoluta e unica, vera abitante di quell’angolo magico della casa, quella panca dove era solita sedere come una dea, passando le sue giornate e cucire o semplicemente a riposare. Un amore che rimarrà fino all’ultimo sconosciuto alla narratrice, che può solo intuire i desideri nascosti dietro gli sguardi adoranti della donna, che sembra riconoscere in lei una somiglianza con l’amata di sempre.
Procedendo con il ritmo frammentario e perlaceo di un sogno trattenuto nel respiro prima di risvegliarsi, il racconto si trasforma da semplice rievocazione della caduta in disgrazia della famiglia Zhang - con conseguente scomparsa della bellissima signora, il cui corpo misteriosamente non fu mai ritrovato - in qualcosa di più evanescente, qualcosa che, simile ai vapori emanati dalle erbe e dall’acqua della toeletta giornaliera della signora, si addensa in nuvole bianche e dense imperlando i pensieri di desiderio. Tutto il non detto di Qiye, fedele fino alla fine alla memoria della padrona tacendo ogni particolare sulla vita con lei e sulla sua morte, ci appare nella sua dolce e potente sensualità nella filigrana d’inchiostro distillata dalla narratrice sulle pagine, quasi che la scrittura sui corpi di donna, vicini nella nudità del bagno e nella fluidità dell’acqua, diventi essa stessa un effluvio di pulsioni assopite ma finalmente ridestate, grazie al potere magnetico del desiderio, tanto da far ricordare alla narratrice un momento di vicinanza fisica vissuto con una sua compagna di corso. Un piccolo capolavoro, delicato e voluttuoso come un bel fiore vermiglio e candido insieme, che non sfigura di fronte a opere ben più famose come Mogli e concubine del grande Su Tong.
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