Per chi ama il noir esotico non c’è nulla di meglio di questo Il teorema di Rio. Ed è un peccato che la Rizzoli abbia cessato di pubblicare le inchieste del commissario Espinosa dopo appena due avventure: anche se il grande pubblico non l’ha accolto come doveva (i suddetti romanzi infatti non sono transitati per la BUR, segno inequivocabile di scarso successo di vendite), tuttavia molti di noi si sono sentiti orfani.
Innanzi tutto perché Luiz Alfredo Garcia-Roza, settantenne, autore di cinque noir di cui questo è il secondo (secondo l’italica consuetudine di non pubblicare mai per primo il romanzo d’esordio) sa creare delle atmosfere coinvolgenti, complice forse anche un Natale di sangue a Rio de Janeiro con file di bagnanti sudati con le infradito ai piedi e i condizionatori al massimo.
In secondo luogo perché l’autore sa cogliere con precisione il ruolo attuale del detective: al confine tra legalità e crimine allo stesso modo dello psichiatra che corre sul filo che divide normalità e follia.
In terzo luogo perché il finale del romanzo, che naturalmente non riveleremo, costituisce un bel diretto allo stomaco del lettore impigritosi nei meandri investigativi del nostro commissario.
Quarantenne, orfano a quattordici anni, divorziato con prole lontana, poliziotto di buone letture e modi urbani, apparentemente un glaciale razionalista, in realtà spesso spinto verso i limiti dell’irrazionale, Espinosa si trova a indagare su una serie di morti che sembrano legate tra loro, ma da un filo assai sottile e tortuoso. Anche perché, e l’autore non ce lo nasconde in un serissimo sondaggio nella stratigrafia sociale del Brasile moderno, la morte in successione di una prostituta (quantunque semiredenta dal rapporto quasi matrimoniale con l’ex commissario Vieira), di un paio di meninos de rua (bruciato il primo, con la testa spaccata l’altro), di un loro educatore di strada e di un balordo che cercava di inserirsi nel giro grande della droga non è che ecciti particolarmente il fiuto investigativo di una polizia al cui interno si celano numerose sacche di corruzione.
E così la moralità adamantina di Vieira, quantunque nascosta sotto una scorza ruvida e volgare, trova un facile alleato in Espinosa, da sempre al di fuori dai giochi di potere (leciti e illeciti) interni al corpo di polizia: entrambi battono i quartieri di Rio, e soprattutto Copacabana, alla ricerca del fantomatico assassino, mentre nelle loro vite si insinuano due donne di diversa estrazione (la prostituta Flor per Vieira e la pittrice borghese Kika per Espinosa) che regalano loro (e Flor ad entrambi a dire il vero) momenti di assoluto piacere erotico.
L’azione si svolge con le lentezze tipiche del clima, nonostante la globalizzazione natalizia imponga riti di origine europea (l’albero di Natale per esempio) totalmente incongrui nel contesto dell’emisfero meridionale; ma nel finale si ha un’improvvisa accelerazione che porta personaggi (e lettori) a un passo (e qualcuno anche oltre) dall’abisso.
Che Garcia-Roza abbia voluto iniziare la sua carriera di scrittore di noir a sessant’anni dopo trent’anni di onorato servizio all’Università di Rio non può che farci piacere: assediati, in patria e all’estero, da “giovani” scrittori che non hanno neppure letto i classici del genere e hanno un’esperienza di vita a dir poco monotematica, fa piacere sentir filtrare da queste pagine un’antica e malinconica saggezza: e quindi si può pure perdonare l’autore quando cede un po’ alla moda dei tempi con qualche accelerazione “cinematografica” o con qualche siparietto soft core.
Concludiamo perciò un appello ai piccoli editori (quello grande, il nostro autore, l’ha già bruciato): comprate i diritti degli altri noir di Garcia-Roza e fateci sognare con i tanti brividi pigri provenienti da quel mistero assoluto che è, per noi, il Brasile.
Voto: 7.5
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