Nella prima metà degli anni quaranta si concentrano alcuni film che racchiudono nello stile, nei volti, nella messa in scena, nelle trovate narrative tutto quell’universo che costituisce la dimensione del noir classico cinematografico. Tradizionalmente questo periodo viene fatto iniziare nel 1941 con l’uscita di Il mistero del falco e concludere nel 1955 con L’infernale Quinlan.
Il mistero del falco (The Maltese Falcon) del 1941, di John Huston, è la terza trasposizione cinematografica del romanzo di Dashiell Hammett, di cui la prima risale addirittura a dieci anni prima, con protagonista l’investigatore privato Sam Spade. Rispetto alle versioni precedenti questa ha il peso dei cambiamenti che fanno epoca. Prende luce al cinema per la prima volta un certo modo di raccontare il poliziesco, poco interessato alla fluidità della trama e molto ai dettagli socio-biologici dei personaggi; il linguaggio tagliente e cinico diventa la colonna sonora dei volti senza pietà e senza speranza dei gangsters, delle curve pericolose di femmine fatali (e spesso folli). Quello che avviene davanti a noi ci affascina e coinvolge soprattutto per quello che supponiamo esistere nascosto nell’animo dei personaggi o nel loro passato.
Con Il mistero del falco arriva sul grande schermo la scuola hard-boiled, la corrente letteraria che a partire dagli anni ’20 ha rivoluzionato la narrativa poliziesca (chiamiamola così…). Hard-boiled vuol dire trionfo del realismo, e dunque accentuazione della violenza, espressa o latente che sia, linguaggio semplice, diretto duro. Il detective privato diventa figura chiave e personaggio dotato di una propria morale autonoma rispetto alle regole della società e a quelle della malavita. Solitario, cinico, perdente, combatte il crimine più per necessità che per dovere o interesse, non del tutto sicuro che i malviventi siano davvero peggio dei benpensanti che guardano anche lui come un delinquente. Spesso la figura dell’investigatore a pagamento diventa quella di un cavaliere solitario che lottando contro assassini e corrotti, insegue in realtà fantasmi che si agitano dentro di lui, nel suo passato. Sapendo intimamente di non poterli sconfiggere.
Il noir che nel cinema degli anni ’40 prende linfa dall’hard boiled, ma non si identifica semplicemente con questo, mentre costruisce l’iconografia che resterà classica del genere, ne stabilisce anche le figure “archetipiche”: dalla donna fatale che persegue senza pietà i suoi scopi, segnati dall’avidità e dalla sete di vendetta, all’uomo comune travolto dalla passione erotica, dal miraggio della riccchezza facile o più semplicemente dai perversi ingranaggi del destino. Un destino che gioca a dadi con uomini e donne, povere marionette imprigionate in un universo privo di finalità, e molto spesso anche di causalità.
Eppure la corruzione, la cupidigia, la ferocia, la codardia, il tradimento sono solo epifenomeni esteriori di un male nascosto, lontano, metafisico nel senso pienamente filosofico del termine, di cui non si riesce a pronunciare il nome perché ne risulterebbe un’eco insostenibile… Sì, guardando i film noir degli anni ’40, osservandone bene il contenuto visivo, andando al di là del linguaggio verbale che comunque già bene li caratterizza, sorge un sospetto, si ha una inquietante sensazione, che crescerà nel decennio successivo per affievolirsi nei ’60 e nei ’70 e riprendere vigore nei ‘90: l’uomo non può raggiungere l’origine di quel male per il semplice motivo che… l’uomo, forse, è il male? Senza voler tirare in causa l’analisi semiotica dei testi visivi, e quindi una decifrazione scientifica dei segni che li costituiscono, è proprio nella composizione dell’inquadratura, nella scelta dei soggetti e della loro illuminazione, nell’uso degli obiettivi… nel modo di fare cinema insomma.
Questa concezione assolutamente pessimista dell’esistente resterà la matrice del genere nelle sue espressioni migliori, superando immutata i cambiamenti, anche radicali, di contenuto e di stile dovuti al neo-noir o al post-noir o alle varie commistioni culturali cui verranno sottoposti i racconti sul crimine.
Quanto detto emerge dai film, dallo loro visione, è dunque bene che prendiamo in considerazione le opere più significative che seguono Il mistero del falco.
Nel 1944 esce Vertigine (Laura) di Otto Preminger, grande classico del noir del periodo bellico, racconto segnato da una vena onirica e fantastica che lo distingue dall’attitudine spiccatamente realista del noir. E’ un film che deve la sua importanza soprattutto alle sue qualità esteriori, la scenografia e la fotografia (oltre agli attori), più che al suo contenuto. Queste qualità, si dimostrano assai lontane dai prototipi del noir coevo: il décor diventa, da sfondo caratterizzante i personaggi, quasi protagonista in prima persona dell’inquadratura; e l’illuminazione è assai “piatta”, dettagliata, tralasciando i forti contrasti tipici firma del noir. A dimostrazione che il genere che indaga le tenebre dell’anima è un sentimento oltre che un modo di fare e rappresentare.
L’ombra del passato (Murder My Sweet), dello stesso anno, da corpo sullo schermo ad un'altra leggendaria figure di private eye, Philip Marlowe, creatura del più talentuoso tra gli scrittori hard-boiled, Raymond Chandler. Un incontro fondamentale per lo sviluppo del noir classico americano. Del film di Edward Dmytryk bisogna evidenziare innanzi tutto: l’uso del flash-back, usato come espediente narrativo che ci cala nella vicenda attraverso la mente del personaggio narrante; un protagonista maschile incerto e vulnerabile a cui fa da contrappunto una protagonista femminile corrotta e spietata; un panorama sociale dove il crimine è la norma e non l’eccezione; un’attenzione al disorientamento degli individui piuttosto che alle certezze della colletività. E lo stile è al cento per cento espressionista, con una scena memorabile: quella finale con Marlowe accecato da uno sparo, dall’eccesso di luce in un’esistenza buia dove la ricerca della verità è più un’ossessione che una missione.
Grande anno il 1944, dato che annovera anche la prima di La fiamma del peccato (Double indemnity) di Billy Wilder (che lo sceneggia con Raymond Chandler), uno dei vertici assoluti del noir di tutti i tempi, film perfetto e spietato. Storia di una passione mortale che non darà scampo a nessuno, colpevoli o innocenti, vincenti o perdenti che siano, è l’adeguata trasposizione visiva del bellissimo romanzo di James M. Cain, La morte paga doppio. Straordinario Fred MacMurray nella parte di un assicuratore che perde la testa per una bionda velenosa, interpretata da un’altrettanto straordinaria Barbara Stanwyck. Insieme uccideranno il marito di lei, ma all’inferno ci andranno separatamente… Perché, se l’amore si può anche fare in due, la morte si affronta da soli… e come recita la voce del nostro eroe all’inizio della storia: “L’ho fatto per i soldi e l’ho fatto per la ragazza. Non ho avuto i soldi e non ho avuto la ragazza.”
Se volete sapere, vedere, che cosa è il noir classico, basta guardare La fiamma del peccato.
Ma gli anni ’40 non sono ancora finiti. Continuano nella prossima puntata.
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