Premetto che nel prossimo numero del mio viaggio non parlerò di passato ma di futuro, presentando HAMMETT N.3241, un testo scritto e diretto da me che andrà in scena a Roma al mitico Teatro dell’Orologio, dedicato al grande scrittore americano che, di fronte alla violenza del potere, ebbe il coraggio di finire in galera per cinque mesi, pur di non tradire i suoi ideali e fare la spia. Una figura meravigliosa nelle sue contraddizioni drammatiche che merita di essere protagonista di uno spettacolo teatrale dedicato soprattutto ai giovani.
Nella presentazione di questa rubrica avevo, però, promesso di fare con voi un viaggio all’indietro, alla ricerca di immagini sperdute nella memoria ma non distrutte in modo definitivo. E questo non solo per un narcisistico piacere di riportare alla mia memoria cose che mi sono appartenute e che in un certo senso hanno segnato la mia vita ma per fare ritornare alla memoria collettiva momenti e sensazioni che sono state importanti per tutti. In televisione il concetto che “tutto passa e poco resta” spesso è utilissimo per fare piazza pulita di tante sciocchezze, per non dire peggio, ma purtroppo il tempo macina e distrugge opere e persone che invece sarebbe giusto ricordare. Alzi la mano chi si ricorda di Rossano Brazzi?
Qualcuno forse sì ma non lo dice subito, per non rivelare di avere una certa età. La maggioranza, dai trenta anni in giù, non ne ha mai sentito parlare. Rossano Brazzi è stato Se non mi credete basta vedere la sequenza che il film Mondo cane dedica al fanatismo delle donne americane verso questo nuovo Rodolfo Valentino. A parte questo, Rossano era un attore bravo e molto serio che aveva cominciato a fare cinema in Italia negli anni quaranta e poi aveva avuto un grosso successo internazionale che lo aveva portato ad essere una star nel mondo. Io premetto che sono stato molto amico suo, anche se fra noi c’era una grossa differenza d’età: quando ci siamo conosciuti, io ero un fanatico del cinema che stava cominciando i primi passi nel mondo dello spettacolo sperando di far diventare la mia passione una professione.
Ma per capire che non sto mentendo per affetto sulla sua bravura, vedete il film di David Lean Summertime (che passa spesso in tv) con Katherine Hepburn e mi darete ragione. Quando l’ubriacatura americana divenne meno frenetica, Rossano riprese a lavorare in Italia e soprattutto in televisione. Fu il protagonista di un giallo di Francis Durbridge, un autore inglese di cui parleremo ancora perché io ho scritto tre lavori tratti da suoi soggetti, che si chiamava Melissa, diretto da un grande regista Daniele D’anza. Melissa fu un successo enorme, con prime pagine sui giornali, milioni di persone davanti ai teleschermi e grande clamore giornalistico. Io ero molto amico di Oscar Brazzi, fratello di Rossano e uno dei più importanti organizzatori del cinema che aveva capito le mie capacità e puntava su di me, quasi adottandomi. Così i due fratelli mi chiesero di scrivere il soggetto di un giallo da proporre alla RAI - c’era solo lei allora- per fare un nuovo sceneggiato (oggi si direbbe fiction) prodotto da loro e sempre diretto da D’anza, per sfruttare il successo di Melissa. Io presi al volo l’occasione e scrissi un soggetto lungo dal titolo Per amore di Carrol che non solo piacque a loro ma anche ai dirigenti RAI, che ne acquisirono i diritti come un romanzo inedito. Poi cominciai a lavorare con D’anza sulla sceneggiatura per fare un film tv (o sceneggiato come si chiamava allora) in cinque puntate da 1 ora l’una. E qui ci scontrammo con le mille difficoltà che allora il giallo incontrava in Italia: la mia storia era ambientata in Italia ma quelli della RAI erano convinti che il pubblico amasse solo i gialli ambientati all’estero e soprattutto non volesse poliziotti italiani sullo schermo. Non ci fu niente da fare e dovemmo spostare l’ambientazione all’estero, allora scegliemmo Amburgo, che offriva uno scenario naturale molto affascinante. Unica mia vittoria fu quella di mantenere che il protagonista e sua figlia fossero italiani, trapiantati all’estero. Una piccola vittoria ma significativa. E poi cambiammo anche il titolo perché, sempre sulla scia del successo di Melissa, si decise d’intitolarlo con un nome di donna e così nacque Coralba. Con un trucco perché non è il nome di una donna ma di un farmaco che costituisce il fulcro di tutta la storia. Un farmaco miracoloso ovviamente, che aveva fatto del suo inventore, il personaggio di Rossano Brazzi, il ricco e potente proprietario di una grossa industria farmaceutica in Germania. La cosa divertente che ancora ricordo è che da un chimico ci facemmo preparare la formula del farmaco Coralba e la diffondemmo sui giornali, Spero che almeno fosse innocua. Coralba fu realizzato in coproduzione con la televisione tedesca e quella francese, con un cast internazionale e fu girata a colori ma in Italia andò in onda nel gennaio 1970 in bianco e nero, dato che l’era della televisione a colori non era ancora cominciata. L’aspettativa era così forte che per la sigla ci offrirono un hit di Frank Sinatra che stavano per lanciare in Italia. Era talmente bella che accettammo subito e facemmo scivolare come sigla di coda la canzone che avevamo scritto noi (è l’unica canzone che ho scritto, per fortuna vostra) cantata da una diva canora del momento, Petula Clark, che spero qualcuno ricordi. La cantante non la canzone che non ricordo nemmeno io. Il risultato fu che Goin out of my heath andò in testa alla mitica Hit Parade per settimane e vendette un mare di dischi, mentre la nostra finì nel totale oblio. Coralba fu un grande successo con indici di ascolto pazzeschi e con critiche sui giornali in prevalenza molto positive. Fu un successo anche in Francia e in Germania, paesi della coproduzione, ma anche nel resto dell’Europa. In particolare in Svezia stabilì un record, andando in prima serata e con ascolti memorabili. Come a dire che non solo gli americani riescono ad invadere gli schermi altrui. In Italia il successo fu di Rossano anche perché il finale riservava una grossa sorpresa, totalmente nuova per i gialli trasmessi fino ad allora: il protagonista, sospettato di essere il colpevole per tutto il film, alla fine riusciva a scoprire la verità ma per farlo era costretto a sacrificare la sua vita. Proprio così: il protagonista alla fine moriva, nonostante tutti i tentativi da parte della polizia di salvarlo. Uno shock per il pubblico anche perché a morire era un divo e, si sa, le stelle non muoiono mai, almeno non nella finzione. A questo proposito voglio raccontare una storia che non ho mai detto: il successo del programma fu tale che Sogno, una delle più importanti riviste di fotoromanzi, volle fare il seguito di Coralba con un fotoromanzo che avesse come interpreti Rossano Brazzi e Mita Medici, che nel film era stata sua figlia. C’era un problema però: il protagonista era morto. Si rivolsero a me per scrivere la trama sperando in un miracolo e io lo feci: Rossano Brazzi, morto, veniva portato via da un’ambulanza, accompagnato dalla figlia, e qui si scopriva che era ancora vivo. Cosa mi sia inventato non me lo ricordo ma fu un miracolo: una rapida guarigione e via, con una nuova storia che neanche ricordo perché non ho conservato né la mia trama né il fotoromanzo. Tutto questo per testimoniare il successo che allora ebbe Coralba, considerato una pietra miliare nella storia del giallo televisivo italiano. Al punto tale che quando finalmente fu inaugurata la televisione a colori Coralba fu ritrasmesso a colori in prima serata e di domenica, cosa che non era mai avvenuta fino ad allora per una replica. Il merito del successo fu anche di un cast internazionale, con attori francesi e tedeschi molto bravi anche se i loro nomi adesso non direbbero niente. Mi piace ricordare invece che a fare l’antagonista di Brazzi nel ruolo del commissario di polizia che indaga su di lui, D’anza, su mio timido ma felice suggerimento, chiamò un grande attore di teatro che non aveva mai fatto televisione di tipo popolare: Glauco Mauri. Un attore grande ma fuori dagli schemi dei generi di successo per la sua faccia e per la sua voce particolari, per la sua recitazione non semplice ma profonda. Dopo un momento iniziale di sconcerto il pubblico sembrò capire il suo stile e soprattutto la contrapposizione che D’anza aveva fatto molto bene fra lui e Rossano Brazzi. Una contrapposizione fisica che corrispondeva al duello psicologico fra due personaggi che alla fine riuscivano anche a capirsi. Forse troppo tardi, visto l’esito tragico del personaggio di Rossano. Questi era un uomo molto dolce, simpatico e semplice anche se circondato da questo alone di divismo del quale gli faceva comodo circondarsi: a volte faceva finta anche di crederci. Aveva accanto a sé una moglie di rara intelligenza ma non bella, molto grassa ma acutissima e spiritosa che in modo sotterraneo e dolce fingeva di assecondarlo ma in realtà lo guidava, come la madre fa con un bambino bello e bisognoso di protezione. Li ricordo con molta tenerezza, Rossano e Lidia, ma ne parlo con pudore e con timore perché sono entrambi scomparsi e non vorrei dire di loro parole che non siano più che tenere e affettuose. Io ho voluto bene a entrambi anche se, come capita spesso nel mondo dello spettacolo, le nostre strade si separarono e per un certo periodo non c’incontrammo più. Un ricordo gradevolissimo di loro è legato ad un programma che feci nel 1980 sull’appena nata Rai tre, dove in diretta incontravo persone che mi parlavano delle loro storie d’amore, drammatiche o felici. Un programma nuovissimo per allora che si chiamava Con amore e per la prima volta portava alla ribalta le storie sentimentali e private delle persone comuni in un talk-show realizzato con molta semplicità e senza fronzoli spettacolari. Io non solo avevo ideato il programma, con mia moglie Diana Crispo, ma lo conducevo, apparendo così per la prima volta sugli schermi. Ebbene una sera dalla regia mi segnalarono che al telefono c’era Rossano Brazzi, per parlarmi in diretta, e io dissi di mandarlo in onda. Lui voleva soltanto dire che per caso aveva accesso il televisore, aveva visto il programma e gli era così piaciuto che aveva sentito il bisogno di dirlo pubblicamente. Io ne fui talmente felice che d’istinto mi venne un’idea (geniale la definisco quando mi voglio molto bene): chiesi in diretta e senza preavviso a Rossano di venire la puntata successiva, lui e Lidia, a parlare della loro storia d’amore, che io conoscevo e trovavo bella da raccontare.
Rossano e Lidia accettarono, così la domenica successiva vennero a parlare di loro, di come riuscivano ancora a stare insieme e ad amarsi dopo più di quaranta anni, se non ricordo male. Un momento spontaneo non preparato e per questo molto intenso e bello. Dove uscirono fuori anche difetti e peccati, ma tutto in una dimensione di reale serenità. Quella fu l’ultima volta che vidi Lidia mentre Rossano lo incontrai ancora qualche volta, dopo la morte della moglie. Con una nuova compagna che sembrava la sosia della prima.
Una strana forma di fedeltà, a una idea più che a una persona concreta. Spero che con queste note la figura di Rossano Brazzi torni nella mente di chi ha visto i suoi film o i suoi sceneggiati. Spesso la televisione è utile come cineclub, fra le tante porcherie che passano si possono ripescare vecchi film che vale la pena di riscoprire o di vedere per la prima volta. Noi abbiamo il difetto di avere la memoria corta, ma a volte è importante ascoltare i consigli di vecchi gufi come me che non hanno stupide nostalgie del passato ma sperano di creare intorno al passato la giusta curiosità che spesso merita. Senza inutili rimpianti.
Altrimenti anche la nostra sarebbe Una vita sprecata.
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