La presentazione non è stata, a dispetto delle tematiche inquietanti del romanzo, come ci si sarebbe aspettati; infatti s’è spesso scherzato e la buona ora di chiacchierata è stata, oltre che interessante, parecchio divertente. Anche se, per rimanere in ambito strettamente nerozziano, e cioè nel tenebroso, un oscuro presagio prima che si accendessero i microfoni c’è stato: delle terribili e simpatiche nonnine che, sedute dietro a chi scrive, salmodiavano con l’arcano accento bolognese – Ressurrezio... Resurretto... Resurrectebum... boh, non so mica cosa sia!
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La cronaca minuto per minuto:
Il primo a parlare è Carlo Lucarelli soddisfacendo, a sua detta, un bisogno impellente a ogni presentazione di Nerozzi: "Prima di iniziare devo specificare una cosa, ad di là dell’aspetto inquietante, Gianfranco è un orsetto di peluche". Elenca poi quelle che, secondo lui sono le caratteristiche di questo "psicopatico dolce" e "professionista del brivido": gli incipit fulminanti, non a caso il romanzo inizia con un "archetipo della tensione", la fuga; la creazione e la liturgia del mistero, gettando nella mischia narrativa un osservatorio astronomico (l’universo, il vuoto siderale) portato avanti da gesuiti, che rappresentano uno dei luoghi del mistero per antonomasia, e cioè il Vaticano; i mostri, che a appartengono a un al di là insolitamente prossimo; la costruzione di mondi alternativi e verosimili attraverso una complessa architettura di suggestioni ed emozioni; la colonna sonora, che scorre realmente nele pagine del libro, schizzando tra Lou Reed e una band di metallo pesante che comincia a vivere nella realtà oltre la fantasia dell’autore, i Mastema, tanto che la gente chiede i loro dischi a negozianti; un profondo senso dell’orrore, che affonda gli artigli nella carne viva dei sentimenti e della malinconia, fuori da un banale cliché di truculenza frequente nel genere.
È il turno di Gianfranco Nerozzi, che osserva subito che è difficile immaginare un orsetto di peluche completamente pelato. Poi, dopo aver presentato e ringraziato gli ospiti presenti, dichiara che adora collegare tra di loro tutte le sue storie tanto che per la saga di Genia, di cui Resurrectum è il secondo capitolo (o il terzo se si considera Cuori perduti, il romanzo prequel mascherato da poliziesco), sta pensando a cinque romanzi, se non di più, procedendo rigorosamente al contrario, e cioè da Genia che è ambientanto nel 2001 a ritroso fino al penultimo capitolo della saga che dovrebbe collocarsi attorno al 1933, per ritornare infine al 2001 e al dopo-Genia. Horoborus, il serpente che si morde la coda, qualcosa come una specie di "palindromo della saga", che sarà possibile gustare iniziando da qualsiasi capitolo si voglia.
Andrea Cotti riempie di elogi l’amico Nerozzi definendolo uno scrittore romantico dato che si occupa di pulsioni elementari come, tra l’altro, l’amore. Polemizza un po’, lamentando, "con tutto il rispetto per una buona casa editrice come la Dario Flaccovio", lo scarso interesse delle "grandi" per uno scrittore pieno di potenzialità qual è l’orsacchiotto psicopatico di Sasso Marconi.
Nerozzi è veramente lusingato dalle parole di Cotti tanto da volere alla prossima presentazione qualcuno che non gli sia amico e che parli malissimo di lui. Evoca una sequenza classica dei cartoni animati Warner Bros: le salsicce fumanti che spandono per aria scie di profumo per attirare l’orda di turno di cagnolini affamati; "ecco", dice rivolgendosi al pubblico presente, "il libro è la salsiccia, voi i cagnolini e noi non stiamo facendo altro che spandere per aria il profumo".
Risate.
Poi, rispondendo alle lamentele di Cotti, ammette che "sì, l’horror è un genere che non si vende benissimo, va meglio sicuramente il thriller". E a proposito di thriller, spiega il perché di una sua presunta "brownizzazione", da qualcuno contestatagli, soprattutto riguardo a certi elementi (killer albino, gesuiti, Vaticano): semplicemente, prima che esplodesse il caso Dan Brown, Nerozzi aveva scritto dei racconti, come dire, precursori, poi finiti nel romanzo, una pratica tra l’altro per lui abitudinaria. Insomma, come nella migliore tradizione, pura casualità.
Tocca a Simona Vinci, che legge il primo capitolo di Resurrectum. Per ovvi motivi di spazio non possiamo riproporvelo integralmente, anche se va segnalato che lo si può leggere gratuitamente sul sito della Dario Flaccovio Editore (http://download.darioflaccovio.it/abstracts/DF6532.pdf).
Giampiero Rigosi mette sotto torchio il Nero con una sequenza di domande al fulmicotone, tra cui: "Come costruisci una così fitta rete di relazioni tra i personaggi? Quanto te li tiri dietro prima di introdurli nel tuo universo narrativo? Non hai paura di finire la benzina prima del guado? Quanto è chiaro il disegno e l’architettura di tutto? Quanto di tutto ciò ha a che fare con l’horror?"
Riportiamo telegraficamente un sintesi in differita delle risposte del Nero: "L’horror è una scelta di campo, ti permette di andare dentro e oltre il noir, di affrontare tutte le sfere dell’emozionalità e del sentimento. Paura di finire la benzina? Assolutamente no. Quanto alla scrittura e ai miei personaggi, semplicemente seguo le storie che ho già dentro e che premono per uscire allo scoperto".
Da segnalare, anche la piccola polemica sollevata da Matteo Bortolotti, il quale osserva che temi come il Millennio, la fine del mondo e l’Anticristo sono un po’ sfruttati.
Nerozzi risponde candidamente che proprio non si è mai posto il problema e, cogliendo la palla al balzo conia in estemporanea uno slogan di autopromozione: "I romanzi di Nerozzi sono la fine del mondo!"
Carlo Lucarelli, che dopo l’introduzione se n’è stato zitto zitto e buono buono, spara una domanda insidiosa: "mettendo assieme così tante storie e personaggi, in pratica, cosa succede se commetti un errore? Se qualcosa non torna come riprendi il filo?"
Attimo di suspense, poi Nerozzi risponde: "Semplice: tolgo il frammento fuori posto, ne faccio un racconto e lo inserisco in un’altra saga!"
La conclusione è tutta di Loriano Macchiavelli, scrittore, che, lamentandosi dei vari Dan Brown, (a cui preferisce senza ombra di dubbio Gianfranco Nerozzi), della scarsa attenzione e dell’esiguo sostegno alla scena letteraria bolognese, dichiara: "Viviamo in un mondo povero economicamente e culturalmente". Dichiarazione che, letteratura o non letteratura, è amaramente vera e folgorante nella sua semplicità.
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