Un giovane istruttore di tennis Chris, Jonathan Rhys Mayers sorta di oscuro e affascinante Zelig, cerca impiego presso un club esclusivo di Londra. Allaccia contatti sociali con un virgulto di ottima famiglia, la cui sorella carina e opaca è la candidata ideale per raggiungere lo status cui il protagonista ambisce.
Nella perfezione le crepe appaiono doverose e in agguato, come l’umidità nemica della Gioconda, compare Nola, Scarlett Johansson che illumina e domina la scena ma la sua profonda e genuina sensualità è visibilmente costretta dalla mancanza di coraggio del Woody Allen regista: il massimo della passione rappresentata è una camicetta strappata. Il vortice di ossessione e passione è innescato. Match Point è una sorta di Crimini e Misfatti in edulcorata e mai saporita salsa british. Elenchi didascalici di mostre, architetture e arte sono mescolati a prodigiosi intrecci tra delitto e castigo, sorte e ingegno, impunità e redenzione. Niente di nuovo sotto al sole dell’inventiva: la dilatazione del tempo è interminabile e lo sbadiglio affiora dalla gola. Sano e sfacciato contraltare alla superficie impeccabile e irreprensibile dell’abusata e pressochè inutile porcellana cinematografica.
Niente appelli né alla fortuna né al talento, rinverdito solo a sprazzi. Nella battuta sul matrimonio visto come compiuta amalgama tra nevrosi e nel dialogo mentre raccontano di un amico mutilato: “Ha perso le gambe ma ha trovato Dio” “Non mi sembra un granché di scambio”. Lo smalto del folletto di Provaci ancora Sam e Prendi i soldi e scappa s'è perduto nella pesantezza delle suggestioni intellettual-europee. Non segna nemmeno nella partita truccata da età dell’innocenza di scorsesiana e romantica memoria, qui con l’aggiunta di labili risvolti noir.
Daniela Losini
Beato chi ce la fa a vedere Match Point e non versare lacrime amare (magari assieme a Petra von Kant…) al ricordo di un altro film di Allen dal quale questo sembra discendere bastardo: Crimini e misfatti.
Facciamola breve: se Match Point può tutto al più apparire come l’opera di un regista promettente, l’altro, Crimini e Misfatti, è di fatto l’opera di un regista nel pieno della maturità che ha assorbito a fondo la lezione sull’animo umano di Dostoevskij (e Bergman…)..
Suona strano allora che Crimini e Misfatti sia del 1989 (con Allen allora cinquantaquattrenne…), mentre Match point è di oggi (con Allen settantenne…).
Il primo è un film su un mondo dove l’amarezza, il cinismo, l’indifferenza, un mondo dove Dio pare aver distolto lo sguardo dall’uomo, la fanno da padrone, un mondo senza più baricentri etici, un mondo che ignora gli arroganti e si accanisce contro gli umili (quelli che sognano, per inciso…), schiaffeggiandoli senza pietà e togliendo loro speranza, amore, e perfino i rifugi intellettuali (<<Sono uscito dalla finestra…>> scrive in Crimini e Misfatti il filosofo sul quale Allen vorrebbe girare un biopic).
Se Crimini e misfatti nel far ciò si accosta alla perfezione assoluta, Match Point, perlomeno come tematiche, si muove su qualcosa di infinitamente più basso, né più né meno su quelle circostanze che se vanno come ci si aspetta che debbano andare uno se la scampa, altrimenti no: la fortuna, insomma…
Il confronto, impossibile da non fare, è impari, e se Crimini e misfatti gode ancora di ottima salute, Match Point ne è una sbiadita copia già avviata sul sentiero dell’oblio.
Sergio Gualandi
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