Joyce Carol Oates appartiene a quella categoria di scrittori che la critica fa fatica a classificare: esercizio di per sé abbastanza sterile, in particolare perché questa scrittrice, autrice di saggi, romanzi, opere teatrali e poesie nonché docente alla prestigiosa Università di Princeton, è sicuramente tra le voci più originali ed interessanti della letteratura di lingua inglese.
Occhi di Tempesta, recentemente pubblicato da Mondadori, è un thriller angosciante: lo si potrebbe definire la cronaca di un delitto annunciato, eppure nonostante si avverta fin dall’inizio che il racconto finirà nel peggiore dei modi, è difficile abbandonarne la lettura.
In Occhi di Tempesta torna un punto di vista narrativo caro alla Oates, quello dell’adolescenza già affrontato con successo in Figli randagi e nel bellissimo Foxfire: protagonista del racconto è la quindicenne Francesca – Franky -, che assiste al progressivo deteriorarsi dei rapporti tra i genitori. Franky adora suo padre, l’affascinante, famosissimo commentatore sportivo Reid Pierson, e sceglierà di stare dalla sua parte nel braccio di ferro che lo vede contrapposto alla dolce, struggente Krista, alle cui dichiarazioni d’affetto Franky risponde chiudendosi in un’ostinata durezza adolescenziale. A un certo punto, però, Krista scompare. E Franky “Occhi di tempesta” saprà cosa deve essere fatto.
In questo romanzo la Oates riesce egregiamente a instillare un disagio profondo nel lettore: la narrazione è intrisa di un sottile, gelido senso di minaccia incombente che il punto di vista della giovanissima protagonista rende con innocente e disperata acutezza. Man mano che gli avvenimenti si susseguono la favolosa facciata della famiglia Pierson si sgretola e ne emerge una storia di ossessione familiare, di violenza domestica: dietro lo smagliante sogno americano fatto di ville d’autore e ricevimenti si avverte il grande bluff dell’american way of life, dove anche un beniamino del pubblico sportivo può venir stritolato dal feroce meccanismo dei media che trasformano la tragedia in spettacolo.
Franky è nel mezzo. Deve prendere una decisione.
“ORA sai quello che devi fare. ORA dovrai ricordare quello che avresti voluto fosse soltanto un sogno. Era la voce di occhi di tempesta. Era la mia voce”.
La prosa della Oates è minimalista, ricorda per certi aspetti il miglior Raymond Carver, riesce a rendere il mondo delle emozioni e dei sentimenti anche estremi che i suoi protagonisti vivono senza cadere nelle trappole della banalità e del sentimentalismo. Il delitto in sé è un fatto quasi marginale: perché quello che in realtà interessa alla scrittrice è il meccanismo della crudeltà e le conseguenze che questa genera, e la crudeltà si avverte non come la deflagrazione di un colpo di pistola ma piuttosto come una sottile lama gelida di disagio che, volenti o nolenti, affascina.
Il mondo della Oates ricorda le visioni di Edgar Hopper: iperealistiche, eleganti, inquietanti. Gelide.
Da ricordare tra i suoi lavori Zombie, allucinato racconto di un serial killer vissuto dalla sua famiglia come il più gentile e tenero dei ragazzi, il bellissimo Foxfire, Blondie dedicato alla tragica vita di Marylin Monroe, e il saggio Sulla boxe, consigliabile in particolar modo alle lettrici per scoprire una dimensione inaspettata e per certi versi romantica di questo sport.
In tutte le opere della Oates si resta inchiodati a realtà quotidiane e sotterranee: per tutte vale la domanda che campeggia sulla copertina di Occhi di Tempesta.
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