Dal motoscafo la spiaggia ricordava un’enorme zanna d’elefante lasciata a seccare tra la foresta e il mare, scintillante al sole pomeridiano.  Dal suo punto di osservazione a prua Chance Renard, il Professionista, riusciva a godere di quel panorama tropicale come della visione del corpo di una bella donna che scioglie l’ultimo bottone abbandonando con il vestito ogni ritrosia.

Una missione in Asia, il pericolo celato da una natura umida e lussureggiante… erano uno stimolo più potente di qualsiasi droga. Una tentazione alla quale non avrebbe saputo resistere.

Era l’esistenza che si era scelto, quella dell’agente di tutti e di nessuno. Una strada da percorrere da soli, come un lupo fuori dal branco o un ronin, un uomo-onda perso nell’oceano, samurai senza padrone. Fedele alla sua spada e al codice d’onore che aveva scritto lui stesso durante gli anni trascorsi a rischiare la vita in ogni angolo del mondo. L’illusione della libertà.

Dalla corona di palme che si ergevano dalla bassa vegetazione tropicale emersero delle figure. Un paio di marinai malesi e due uomini con incongrui completi di lino scuro. Il vento scompigliava ciuffi e cravatte. Un raggio di sole al tramonto strappò un riflesso a stella sugli occhiali a specchio del più vicino. Chance fece del suo meglio per mantenere l’equilibrio sulla falchetta del Chigarette che riduceva progressivamente la velocità. Malgrado il rollio, Chance  conservò la posizione eretta, con la valigetta piena di dollari in una mano e una sigaretta nell’altra. Si sentiva sotto osservazione. Erano gente dura. Yakuza  dello Yamaghuchi-gumi, una delle più potenti famiglie della mafia giapponese. In Malesia avevano stabilito il caposaldo di un piccolo impero basato sul gioco d’azzardo, il traffico d’armi e le speculazioni edilizie.

Il marinaio al timone spense il motore mentre l’abbrivio portava il riva sulla battigia ad affondare sulla sabbia. Un rapido scambio di battute con i barcaioli locali, fu gettata una cima subito assicurata a un palo che spuntava dal terreno, poi Chance saltò agilmente dalla prua alla terra ferma evitando il bagnasciuga.

Il giapponese con gli occhiali a specchio si avvicinò con un piccolo inchino protendendo  la mano destra con il palmo in su. -- Konba-wa, Zama-san l’aspetta.

-- Konba-wa -- rispose  Chance con un gesto formale. Aveva ottenuto il privilegio di arrivare sin là grazie ai buoni uffici della baronessa Yonosuke, Kaisho, Capo di tutti i Capi, della Yakuza di Tokyo; era un  ospite di riguardo. Ma il suo  lasciapassare  sarebbe stato valido  solo sinché Shintaro Zama non avesse compreso il motivo che lo aveva portato a Cherating. Chance dubitava che il mafioso avrebbe accettato la sua offerta.

 

La villa si raggiungeva attraverso un sentiero sterrato in mezzo alla foresta. Non appena varcato il muro di cinta protetto da cocci di bottiglia e chiodi, il Professionista aveva cominciato a guardarsi in giro alla ricerca di una eventuale via di fuga, un’abitudine acquisita in anni di  avventure  che rasentava la paranoia. Una delle tante. I due Yakuza gli fecero strada in un perfetto giardino giapponese con tanto di lanterne di pietra e laghetto di ninfee in fiore. Al centro della tenuta una grande villa con il tetto a pagoda riproponeva lo stile architettonico  Momoyama della Pagoda d’Oro di Kyoto.  Nessuna guardia visibile in giro ma Chance identificò due giardinieri come yojimbo professionisti dai tatuaggi che emergevano dalle canottiere sudate. Muscoli coperti di draghi e fenici che poco si addicevano a innocui lavoranti. I segni distintivi della gilda delle guardie del corpo del distretto di Shima, dove era nato Shintaro Zama.

-- Da questa parte, prego -- lo invitò con un formalismo sin troppo ossequioso il giapponese con le lenti a specchio. Percorsero un patio che cingeva la villa arrivando sul giardino sul retro dove una piscina con tanto di ombrelloni e sedie a sdraio offriva un comfort decisamente più moderno. Un impianto stereo diffondeva in sordina musica pop giapponese. Nell’acqua una ragazza in costume rosso era assorta nei suoi esercizi con un’applicazione da atleta olimpica.

-- Mi hanno parlato di lei, Chance Renard -- disse una voce da sotto un ombrellone ai margini della piscina. -- A quanto pare il Khoan, il servizio segreto del mio paese, ha un’alta stima di lei. Takeda Shingen la considera una specie di samurai.

-- Ho collaborato con l’agente speciale Oshima in un paio di occasioni -- rispose Chance raggiungendo il giapponese al tavolino sotto l’ombrellone. L’uomo lo accolse con un sorriso allusivo.

-- La conosco.  Il suo nome in codice è Fiore Velenoso. Appropriato, non trova?

-- Una donna assertiva -- confermò Chance richiamando per un attimo alla memoria il viso dell’agente con cui aveva rischiato la vita in alcune delle sue più pericolose avventure. -- E’ un piacere incontrarla di persona, Zama-san.

Poteva avere sessantacinque anni, ma Chance non ci avrebbe scommesso.

Era sempre difficile dare l’età a un orientale. Shintaro  Zama era un uomo piccolo, stempiato con il viso intelligente, venato di una sfumatura crudele nello sguardo. Indossava un accappatoio di spugna che nascondeva appena  i tatuaggi che gli coprivano il corpo dal collo sino alle caviglie. La mano che stava negligentemente appoggiata sul ripiano del tavolo, tra il laptop, il cellulare e la bibita, aveva una falange in meno al mignolo sinistro. Era un Oyabun, un capo di una certa importanza nella gerarchia della Yamaghuchi –gumi. Quando i due uomini ebbero terminato di scrutarsi a vicenda, lo sguardo del giapponese si posò sulla valigetta di Chance. -- La baronessa Yonosuke mi ha annunciato che lei ha una proposta per me.

Dritto al sodo. Fine dei convenevoli, pensò Chance.  Senza aspettare di essere invitato a farlo prese una sedia e si accomodò di fronte all’Oyabun. Lo fissò negli occhi aprendo la valigetta e girandola  in modo che potesse vederne il contenuto.

--Cinque milioni di sterline -- disse anticipando la domanda di Zama. -- E’ la cifra che  Hiroshi Kase  è disposto a offrirle per riavere sua figlia Kikuro.

Lo sguardo del mafioso s’indurì. Chance era sin troppo consapevole della presenza dei due gorilla alle sue spalle. Dalla piscina veniva il ritmico sciacquio delle bracciate della ragazza. Se  Zama avesse voluto farlo sparire e tenersi i soldi non avrebbe avuto difficoltà.

Era cominciato tutto dieci gironi prima quando Chance aveva ricevuto per posta un invito a far visita a uno dei magnati dell’industria nipponica assieme al biglietto aereo in  prima classe andata e ritorno per Narita  e un assegno di centocinquantamila yen  che, specificava il biglietto, poteva incassare subito solo per darsi la pena di venire all’appuntamento.

Il problema era che il miliardario giapponese aveva una figlia di vent’anni poco propensa ai formalismi dell’alta società del suo paese e incline alla ribellione. Dopo qualche anno presso l’agenzia Elite, per far rabbia al genitore aveva deciso di lavorare come lapdancer nei locali notturni prima di New York quindi delle Hawaii.  Più il padre aveva cercato di allettarla a tornare in Inghilterra, più la bella Kiruko si era intestardita a voler percorrere  il lato selvaggio dell’esistenza. Un contratto con un’agenzia di  Waikiki l’aveva portata in un famoso locale di spogliarelli di Singapore. Da là si erano perse le sue tracce sino a un mese prima, quando un investigatore assoldato da Kase aveva reperito un DVD clandestino giratoa in Malesia dove si mostravano scene di sesso sadomaso. Con le lacrime agli occhi il miliardario aveva mostrato la fascetta della videocassetta. Kiruko Kase, nuda, fustigata e legata alle sponde di letto, era la star principale.

Una rapida indagine svolta da Chance proprio grazie alle sue aderenze nel servizio segreto nipponico aveva permesso di identificare l’uomo che, tra le altre attività, possedeva la cosiddetta società di produzione dei filmini sadomaso. Shintaro  Zama.

-- Il signor  Kase le offre questa cifra -- ripeté Chance -- per  liberare sua figlia da qualsiasi vincolo le imponga il contratto che ha firmato con la sua società.

Shintaro Zama non reagì con rabbia, come Chance aveva immaginato. I giapponesi non amano che gli intermediari occidentali mettano il naso nei loro affari, neanche se portano  soldi. Ma l’offerta sembrò divertirlo. --Temo che la situazione sia più complessa  --  dichiarò dopo qualche attimo. -- Non avevo idea di chi fosse la signorina Kiruko sinché, per caso, non ho visto uno dei film che… la prego di notarlo… aveva girato di sua spontanea volontà. Non visiono tutto il nostro materiale ma sembra che io e Kiruko condividiamo, diciamo… la passione per il dolore inflitto e subito… in ruoli differenti, naturalmente.

-- Naturalmente -- replicò gelido Chance.

-- Sono rimasto affascinato dalle qualità della signorina Kiruko: appassionata, genuinamente desiderosa di provocare piacere affrontando il dolore. Vede, non posso accettare l’offerta del signor Kase per il semplice fatto che non esiste più nessun contratto che vincoli Kiruko. Ho pensato che fosse uno spreco condividere  il suo talento con qualche milione di pervertiti. La volevo tutta per me.

Trascorse un attimo di silenzio pesante durante il quale Chance fu  unicamente consapevole di uno scalpiccio umido alle sue spalle.

La ragazza della piscina era venuta a raggiungerli. Sorpresa. Dal costume intero rosso emergevano le forme - insolitamente generose  per una nipponica - di Kiruko Kase. Chance studiò  per una manciata di secondi il bel viso appena involgarito da una bocca troppo larga, gli occhi azzurri e la capigliatura umida e nera come un drappo di seta. La ragazza venne ad abbracciare Shintaro  Zama che le passò con disinvoltura una mano intorno ai fianchi ad anfora.

-- Ora Kiruko recita solo per me e non ho intenzione di privarmi della sua abilità. A nessun prezzo. Neanche lei vuole andarsene, vero, cara?

Chance si sentì cercato dallo sguardo vitreo, un po’ assente della ragazza.

-- No, voglio restare qui -- dichiarò lei come un automa.

-- Vede? -- disse Zama con uno sorriso. -- Temo che abbia fatto un viaggio a vuoto. Kiruko è qui di sua spontanea volontà. Quindi adesso richiuda quella valigetta, torni al suo albergo, passi qualche giorno a prendere il sole e se ne torni in Europa. Qui non c’è nulla per lei.

Chance si  alzò e raccolse la valigetta senza aggiungere una parola. Il tono velatamente minaccioso di Shintaro Zama non richiedeva ulteriori spiegazioni. Ma lo sguardo di Chance era fisso su Kiruko. L’espressione allucinata della giovane, la piccola serie di punture all’interno del gomito sinistro e le evidenti cicatrici che spuntavano dal  costume sul torso parlavano chiaro. Kiruko Kase era trattenuta nella proprietà di Shintaro Zama contro la sua volontà, malgrado le apparenze.

Erano poche le situazioni in grado di provocare l’odio profondo di Chance Renard quanto le violenze a una donna. Probabilmente Kiruko Kase era un’incosciente sgualdrinella assetata di sensazioni proibite ma era ovvio che, cadendo nella rete di Shintaro Zama era diventata una vittima.

Quella sera, nella camera del complesso di bungalow dove  aveva preso alloggio, Chance si preparava all’azione con la consapevolezza di agire per ragioni più alte del compenso che gli era stato promesso da Hiroshi Kase. Era un’altra delle sue illusioni, la convinzione di essere in qualche modo investito di una missione. L’altra faccia della sua attività di mercenario. La consapevolezza di poter scegliere sempre da che parte stare era uno stimolo ad affrontare il pericolo.

Aveva sostituito gli abiti chiari  ed eleganti con jeans e una T-shirt neri. Ai piedi calzava scarpe di corda che gli avrebbero permesso di muoversi senza provocare troppo rumore. Il rapido esame che aveva avuto modo di effettuare della villa di Zama gli aveva rivelato  alcuni particolari interessanti. L’ingresso era sorvegliato  ma, nel giardino in fondo alla piscina si apriva una cancellata che dava sui campi. Da là sarebbe stato possibile raggiungere le coltivazioni a terrazza dove lui e la ragazza avrebbero potuto far perdere le proprie tracce. Una volta arrivati a Padu, il centro abitato più vicino, c’erano buone possibilità di trovare un volo per Kuala Lumpur. E dalla capitale della confederazione malese avrebbero raggiunto Singapore. Il Giappone era a portata di mano. Al suo arrivo in albergo Chance  aveva già predisposto una via di fuga, mandando un’e-mail a Kase in cui gli  annunciava di aver trovato sua figlia. Di più, per il momento non voleva dire. Aveva già raccolto il suo bagaglio badando di celare accuratamente la valigetta con i soldi. Aveva poi preso accordi con  Ha Yu, il figlio del proprietario cinese del complesso di bugalow dove alloggiava. Il ragazzo lo avrebbe aspettato alle prime ore dell’alba  presso una vecchia moschea abbandonata nei campi di riso con un furgoncino e il suo bagaglio. Ha Yu sembrava un ragazzo sveglio e volonteroso. Poche domande e molta efficienza. Chance si era riproposto di ricompensarlo generosamente se tutto fosse andato liscio. Passando davanti allo specchio diede un’occhiata al suo riflesso. Negli ultimi mesi aveva completamente smesso di fumare ed era in ottima forma fisica. Il profilo aquilino e la spruzzata di grigio sulle tempie gli conferivano un’aria vissuta, apprezzata dalle signore. Il perfetto agente segreto, si disse con un sorriso spavaldo mentre cercava la pistola preparandosi a entrare in azione. Aveva già un piano.

Dall’esterno arrivò un rumore di passi sul terriccio. Forse era ha Yu che veniva a prelevare il bagaglio.

Nella  Legione il suo istruttore aveva dato un nome all’istinto di sopravvivenza che aiuta i veterani a sopravvivere quando i novellini cadono intrappola. Il “Rettile” lo chiamava, e Chance era incline a seguire i suoi ammonimenti.

E in quel momento gli disse che non era il cinese a fargli visita. Passi troppo felpati, circospetti.

Chance si accostò alla finestra scostando appena la veneziana. Il suo bungalow, l’unico occupato di quel blocco a pochi passi dalla spiaggia, stava al secondo piano. L’unica illuminazione in quel momento era costituita dal lume di carta di riso sul comodino vicino al letto. All’esterno,  però, il riflesso lunare consentiva di vedere con una certa chiarezza. Il Professionista trattenne il fiato scrutando tra luci e ombre.  Due uomini si avvicinavano. Armati.

Con un brivido Chance ne riconobbe le fisionomia, l’andatura da predatori. Erano i due Yakuza venuti ad accoglierlo alla spiaggia. Evidentemente Shintaro  Zama aveva pensato che  fosse inutile rispettare il suo ultimatum e forse era meglio liberarsi del Professionista, magari  mettendo le mani sui cinque milioni di sterline. Un modo per comunicare a Kase di non mettere il naso nel territorio altrui.

In pochi attimi  Chance passò dalla valutazione del pericolo all’azione.  Raccolse la Beretta 92F,  applicò un sottile silenziatore a tubo alla filettatura poi, lasciando accesa la luce sul comodino sollevò cautamente la veneziana.  Scivolare oltre il davanzale e accucciarsi nel buio sul ballatoio esterno del bungalow non fu complicato. Per qualche attimo ancora  Chance rimase in attesa. Alle orecchie arrivavano i rumori sommessi dei sue sicari che si avvicinavano alle scale. Uno dei due rimase di sotto a fare da palo, l’altro salì sino alla porta del bungalow e, probabilmente servendosi di un passe-partout, ne forzò la serratura.

Ancora  qualche attimo d’attesa. Il battente si schiuse lasciando profilare in controluce la sagoma del killer. L’uomo aveva una mitraglietta silenziata che scaricò contro il letto senza neppure mirare. Lenzuola, materasso e cuscino esplosero in una nuvola di piume e molle. Nell’aria si diffuse un fumo azzurrino dall’odore acre. Non appena la nuvola si diradò, Chance ebbe una chiara visione del suo aggressore.  Puntellandosi sul davanzale premette il grilletto, due volte per essere sicuro. Il silenziatore attutì i colpi. Il rumore più forte fu  lo schiocco dei bossoli sul pavimento di legno.  Il sicario crollò in avanti senza un gemito. Ucciso sul colpo.

Chance si era già spostato in una zona d’ombra. Aveva altri piani per il secondo killer.

Questi attese quasi un minuto poi, preoccupato dalla mancanza di segnali del compagno, salì a sua volta con la  MiniUzi silenziata protesa in avanti. Giunse sul ballatoio e procedette sino alla porta dell’appartamento di Chance.

Fece appena a tempo a scorgere il cadavere accasciato del suo compagno  che fu investito  da una valanga di colpi. Chance gli sferrò un calcio sul retro del ginocchio costringendolo a piegarsi in avanti. Con una mano gli sottrasse la mitraglietta  mentre con l’altra gli premeva la pistola sul collo. Inchiodato al muro, il giapponese, non era in grado di opporre resistenza.

-- Adesso andremo a farci un giretto. Torniamo a casa a fare una sorpresa  a Zama-san.

Un lampeggiare di fari e il rauco tossire di un motore nel vialetto annunciarono l’arrivo di Ha Yu.

Quando vide cosa era successo il giovane cinese sbarrò gli occhi. Chance lo inchiodò con uno sguardo autoritario. Non era il momento di perdere la calma.

-- Ha Yu, devo chiederti un ulteriore favore -- disse con voce bassa e  severa. -- Devi fare piazza pulita qui dentro. Fai sparire il cadavere, poi vieni all’appuntamento.

Il ragazzo fece per protestare ma il Professionista trasse di tasca la mazzetta di banconote che aveva preparato e gliela infilò nel taschino della camicia. -- Niente domande, niente esitazioni -- lo ammonì. Il ragazzo fissò spaventato il cadavere e il giapponese prigioniero poi assentì. Avrebbe fatto la sua parte.

Il pick-up attraversò la cancellata e affrontò il vialetto di ghiaia tra sobbalzi e sussulti. Pochi attimi dopo si arrestò di fronte all’ingresso della villa di Shintaro Zama.

-- Se fai una mossa sbagliata sei morto, samurai -- sibilò Chance  sollevandosi dal sedile posteriore dov’era rimasto nascosto per tutto il tragitto.

Il guidatore gli rimandò uno sguardo cattivo attraverso  lo specchietto retrovisore.

Chance si chiese se non avrebbe fatto meglio ad ammazzarlo subito. Il giardino era avvolto nell’oscurità a eccezione di una luce sulla veranda della villa che gettava uno sprazzo tra le ombre del palmeto.

-- Apri la porta e scendi piano -- intimò Chance  picchiando sulla spalla del giapponese con la canna della MiniUzi.

L’altro emise un grugnito e obbedì. Lo fece con gesti lenti, provocando solo piccoli rintocchi. Chance si preparò a seguirlo, aprì a sua volta la portiera e mise un piede sulla ghiaia.

Lo scricchiolio sulla ghiaia lo salvò. Qualcuno era scivolato alle loro spalle e aveva atteso il momento di entrare in azione quando Chance sarebbe stato più scoperto.  Forse un guardiano alla cancellata cui il giapponese aveva rivolto un silenzioso segnale. Magari aveva notato che era tornato un solo uomo invece di due.

Poco importava, non c’era tempo di riflettere.

Chance schivò l’ombra che si abbatté contro di lui di un soffio. Avvertì un dolore bruciante al braccio sinistro e perse la presa sulla Beretta che rotolò sulla ghiaia.

Il guidatore  scattò come una molla compressa, ruotando su se stesso per colpirlo con un calcio. Gli andò male. Benché ferito Chance era ancora in grado di reagire. Lasciò partire una scarica di MiniUzi che trapassò il vetro e inchiodò a metà del movimento il giapponese.

Il suo compagno, armato di una corta sciabola da samurai, era uno dei finti giardinieri.  Mulinò la lama nel vuoto andando a colpire la canna della mitraglietta che Chance si sentì strappare di mano. Il colpo successivo gli passò troppo vicino per  tentarlo a un corpo a corpo. Assecondando lo slancio della schivata, si tuffò sul terreno rotolando via.

Poteva sentire il respiro pesante  dell’avversario e lo scricchiolio delle sue scarpe sul terreno. Chance afferrò la Beretta e si rimise in ginocchio con un unico movimento fluido. Due colpi, come insegnano nel Mossad. Nessuna possibilità di salvarsi a quella distanza. Il giapponese tatuato fu sbalzato contro la fiancata del pick-up  come se non avesse peso. Morì ancor prima di toccare il terreno.

Chance era già in piedi. Con la pistola in pugno corse sino alla veranda della casa. Immobile,  ascoltò i rumori concitati che provenivano dall’interno. Altre guardie. Un paio forse…

Aspettò che il rumore di passi fosse sufficientemente vicino poi si gettò sulla soglia con il braccio armato teso di fronte a sé. Freddò con quattro colpi i due uomini che stavano uscendo ancora semisvestiti. I bossoli rotolarono sul pavimento di assi con un tintinnio irritante.

Senza aspettare di aver terminato il caricatore Chance lo sostituì con uno nuovo. Meglio  non correre rischi. Irruppe nella casa a denti stretti. La ferita di striscio all’avambraccio bruciava, ma non aveva  tempo… neanche per sanguinare. Trascinato da una rabbia vendicatrice salì al piano superiore attraverso un corridoio rivestito di legno e  maschere del No. Uno scricchiolio alle spalle provò una reazione immediata. Si tuffò nella direzione  opposta a quella in cui stava andando e si sottrasse a una scarica che strappò dalla parte due lunghe schegge di legno.

Alla luce di una lampada di carta di riso vide un’ultima guardia, una donna questa volta. La giapponese era a seno nudo, con un bellissimo drago tatuato sulla parte destra del corpo. Con un gesto rabbioso mise un  nuovo colpo in canna al fucile a pompa Mossberg che aveva in pugno. Perse secondi preziosi. Chance, invece, agì rapidamente. Non si fermò  neppure a vederla morire con il  cranio trapassato da due proiettili al teflon. La scavalcò ignorando il bruciore agli occhi provocato dalla cordite e si diresse verso una porta scorrevole in fondo  al corridoio sotto la quale filtrava una luce.

L’abbatté con un calcio e rimase per un attimo impietrito di fronte allo spettacolo di Kiruko Kase nuda, legata alla sponda del letto giapponese con lo sguardo allucinato e la pelle arrossata di frustate.

Nudo con il pene eretto e rosso come quello di un mostruoso idolo della foresta, Shintaro Zama reggeva il frustino. L’arrivo di Chance gli aveva rovinato la festa.

Urlò  un insulto in giapponese e gettò via il frustino, pensando di affrontare  il Professionista con una delle katane appese alla parete.

Chance non gliene diede il tempo. Alzò la Beretta e sparò frantumando la spada mentre usciva dal fodero. La lama schizzò via con uno scintillio.

-- E’ più difficile con  chi non si difende, eh porco? -- sbraitò  Chance investendolo carico d’ira. In quel momento si sentiva San Giorgio contro il Drago.

Zama rimase stupidamente a fissare il moncherino di lama che aveva in pugno. Quando  Chance gli fu addosso tentò di servirsene come arma  ma il Professionista lo mandò a gambe levate.  Nudo, dolorante, Shintaro Zama se ne stava a piagnucolare, in un angolo.  Con rabbia Chance  gli puntò la pistola alla tempia.

-- No…no -- gemette Kiruko dal letto.

Chance si volse, interdetto. La ragazza sembrava fuori di sé. Drogata probabilmente. Implorava pietà per il suo carceriere. La sindrome di Stoccolma.

-- Ti prego… no -- ripeté.

Chance fu tentato di ignorarla e uccidere il giapponese, poi la rabbia sbollì e ricordò il motivo per cui era là. Assestato un ultimo calcio a Zama. Liberò  Kiruko in stato di semiincoscienza e la trascinò via.

Nessuno cercò di fermarlo.

Le prime luci tingevano il cielo di una luminescenza zincata. Il vento agitava le cime delle palme provocando un fruscio ossessivo. Avrebbe piovuto. Molto presto.

Ha Yu aveva mantenuto la parola, venendo all’appuntamento puntuale con la valigia di Chance e il resto del bagaglio.

Li accolse a bordo del furgoncino  senza dire una parola. Chance si sistemò sul sedile posteriore. Con una coperta avvolse  Kiruko asciugandole gli occhi con un fazzoletto. Lei tremava.  Poche volte Chance si era sentito così orgoglioso di aver ucciso. Guardando quel povero pulcino bagnato si convinse di aver fatto la cosa giusta. Suo padre sarebbe stato orgoglioso di lui. Per una volta aveva combattuto per una causa giusta. Un vero cavaliere in scintillante armatura.

--Coraggio, Kiruko, tra poco saremo  involo verso Kuala. Da là potrà rivedere suo padre…

La ragazza sollevò lo sguardo iniettato di sangue. In un attimo la fanciulla indifesa era sparita. Chance si sentì trapassato da uno sguardo carico d’odio. Poi Kiruko gli sputò in faccia.

--Figlio di puttana! Lo sai cosa mi faceva mio padre a dieci anni? Veniva in camera mia la notte e mi cacciava un fazzoletto in bocca perché non urlassi quando mi violentava -- le parole uscivano  a fiotti, cariche di veleno e dolore. -- Ed è andata avanti così, per sette anni. Sette anni, hai capito, stronzo?

-- E diventare la schiava di Shintaro Zama era la tua vendetta? -- domandò Chance esausto.

Kiruko tirò su con il naso. -- Lui mi amava… io, non sono   capace di fare l’amore in modo normale. Devo, provare dolore… Shintaro non mi ha mai fatto nulla contro la mia volontà. Io sono andata da lui spontaneamente -- s’interruppe un attimo per scoccare un’altra occhiata di fuoco a Chance. -- E ci sarei rimasta fino alla fine dei suoi giorni. E’ molto malato ormai, non gli resta  molto da vivere… e adesso che mi hai portato via da lui…-- scoppiò di nuovo in singhiozzi mentre l’armatura  ideale di Chance si copriva di crepe e cadeva in pezzi.

Con un sospiro pieno di dubbi e vergogna il Professionista si volse verso la direzione da cui erano fuggiti. Bell’eroe. Riportare una figlia violentata al padre stupratore. Dopo aver ucciso cinque uomini e una donna. 

Sospirò. C’era qualcosa che aveva senso in quell’avventura? No. Forse solo l’idea che lo aveva spinto ad agire quando aveva visto la ragazza, la mattina. Kiruko era una vittima.

Di suo padre. Di Shintaro. Sua.

Ladri. Ladri di donne. Tutti.

Nella vecchia villa ingombra di cadaveri Shintaro  Zama riunì le poche forze che gli avevano lasciato il cancro al cervello che da mesi lo divorava e quel pazzo occidentale venuto a umiliarlo in casa sua. Kiruko, la sua adorata Kiruko, con il disperato bisogno di ricevere dolore e dare amore che avevano allontanato seppure brevemente lo spettro della morte dai suoi pensieri, alimentando fantasie malate ma al tempo stesso animate da un sentimento sincero, gli era stata strappata.

Che senso aveva vivere ancora, protrarre la sofferenza senza di lei?

Con il fiato mozzo e  il cervello trapanato da un nuovo attacco di dolore, Shintaro Zama ritornò quello che era sempre stato. Un samurai.

E come un samurai morì, aprendosi il ventre con lo spuntone della katana che Chance Renard aveva spezzato insieme al suo desiderio di vivere.