Benvenuti.
Il grugno patibolare che vi accoglie appartiene a Gianfranco Nerozzi, l'intervistato di turno.
Non credo sia necessario spiegarvi perché abbiamo preferito incontrarlo in modo "virtuale".
Ciao, Nero. Sei stato messo al corrente che i documenti relativi al dossier "SFL - Segretissimo Foreign Legion" sono stati declassificati, le coperture sono saltate. Tanto vale che sia tu a raccontarci il tuo reclutamento nel Team...
Un brutto ceffo con l’inquietante aspetto di un gorilla mi ha avvicinato e mi ha blandito con frasi subdole del tipo: tu mi sembri portato a descrivere scene di azione e di sesso, ti piacerebbe assumere l’identità segreta di uno spy-scrittore? Non potevo restare indifferente a una proposta così allettante. Sono un grande appassionato di Ian Fleming, uno sfegatato fan di James Bond da quando ero ragazzo e adoro John Woo. Quindi mi sono fatto assoldare nella squadra senza pensarci due volte.
Hydra Crisis, la serie che scrivi per Segretissimo. è al suo secondo capitolo (La coda dello scorpione). Chi è il protagonista Marc Ange? Che cosa l'Hydra?
Marc Ange è un eroe dal passato inquietante, una vittima che ha deciso di trasformarsi in vendicatore. Oppresso dall’incubo di quello che gli è successo da ragazzo, è diviso fra le sue metà oscure. Fondamentalmente lui è un moralista che ha scelto la strada del combattimento. E’ un disperato che non ha niente da perdere, pronto a sacrificarsi. Una sorta di cavaliere pieno di macchie e di paure, ma che ha giurato di combattere i draghi cattivi con tutti i mezzi, ad oltranza. L’unica sua debolezza: le donne, che in qualche modo entrano sempre nella sua vita in modo prorompente. E va sempre a finire che si innamora della persona sbagliata.
L’Hydra rappresenta prima di tutto il simbolo della sua ossessione: l’essere malvagio che ha segnato la fine della sua innocenza, il nemico da combattere. Sembrerebbe solo un’entità metaforica, l’icona del Male vista come la rappresentazione del mostro dalle tante teste, ma poi si rivelerà esistere al di là della sfera degli incubi, un potere occulto che sta dietro ad ogni cosa e manovra tutto. Segreti impensabili saranno rivelati nei prossimi romanzi della serie: una goccia alla volta. Posso già anticiparvi che ci saranno non poche sorprese.
Il personaggio seriale: come affrontarlo? E ancora: opportunità e pericoli di questa scelta.
Mi piacciono i personaggi seriali. Tutti i miei personaggi in qualche modo lo sono e fanno parte di un universo creativo che non si esaurisce facilmente. Quindi non ho trovato molte difficoltà a pensarne un altro. Per me è quasi una necessità interpretare le cose considerando un ottica globale, intendo nella scrittura naturalmente, come dire: questo tipo esiste davvero, io so chi è quindi vi racconterò tutto di lui. Si può cadere nella ripetitività, certo. Ma con un tasso di fantasia troppo alto nel sangue, questo pericolo si può evitare.
Il tuo primo romanzo, Ultima pelle, lo hai pubblicato come Frank J. Crawford. Per Segretissimo, ti firmi Jo Lancaster Reno. Usare pseudonimi ti diverte, ti secca o ti lascia indifferente?
Mi diverte molto. Per come ho impostato il lavoro: mi invento lo scrittore come se fosse lui stesso un personaggio della storia, e cerco di immedesimarmi in lui e scrivere come se fosse lui con il suo stile, non con il mio. Insomma diventa una forma schizofrenica, che poi è sempre lo stesso meccanismo mentale che occorre innescare tutte le volte che fai un romanzo: diventare altro, sentirlo e farlo proprio. Alla fine ne viene fuori un bellissimo esercizio di scrittura.
La tua passione è l'horror, ma ti dimostri eclettico nella tua produzione narrativa tanto quanto devi essere onnivoro nelle letture.
Sì, infatti leggo di tutto. E mi piacerebbe scrivere di tutto. Il genere credo debba essere solo un mezzo, una sorta di veicolo per andare verso qualcosa di determinante, là dove si nasconde il grido che sento di dover fare uscire da dentro. Ci sono regole da seguire e mezzi di locomozione su cui salire per compiere il viaggio. Ed è divertente e stimolante cambiare, percorrere piste nuove. Poi sempre di più la letteratura di genere si contamina, si mescola e diventa altro. L’importante è la trasmissione dell’emozione: suscitata e condivisa, come lettore e come scrittore.
Il racconto breve: una dimensione narrativa in cui ti trovi particolarmente a tuo agio…
L’ho ribadito più volte: è come fare una sveltina: presto dentro e presto fuori. Mi piace fare racconti, ma il più delle volte sono commissioni. Qualcuno te ne chiede uno e tu lo fai. Per quanto mi riguarda è difficile che mi metta a scrivere un racconto perché voglio farlo e basta. Per come tendo a pensare i miei universi narrativi, preferisco il romanzo. Infatti molto spesso dai miei racconti brevi è poi scaturita una storia più grande. La mia scrittura ribolle e si dilata e non si riesce a contenere neanche a morire. Così si formano frammenti narrativi che funzionano anche da soli ma che diventano quasi sempre parte di un insieme. Si potrebbe dire che sono seriale anche nei racconti. In qualche modo tendo a legarli e a fonderli. Ci sono racconti precursori situati cronologicamente prima e dopo per molti dei romanzi che ho pubblicato. Vedi la raccolta Prima dell’urlo, dove ci sono le storie scritte dopo ma che rappresentano il prequel de L’urlo della mosca. Oppure il racconto Spazi riservati (ora diventato Le nostre anime), che è sequel (però scritto prima!!!) di Ogni respiro che fai. Immagini collaterali invece era un racconto che ho lasciato levitare e che si è dilatato fino a diventare un romanzo che magicamente si è collegato all’universo creativo già esistente. Anche l’ultimo Genia, proviene da due racconti: uno uscito su Jubileum (Punto zero) e un altro su Investigatori dell’impossibile (Addictions). Quando scrivo un racconto, subito mi viene da pensare come potrebbe essere se si trasformasse in un romanzo, non posso farne a meno. Forse è l’esigenza di entrare sempre più a fondo possibile nelle storie e nei personaggi.
A proposito di racconti. Sei riuscito nell'impresa di convincere la grande editoria a dare fiducia ad una antologia di autori vari (In fondo al nero, Urania Mondadori), che hai curato con passione. La definisco impresa perché, si sa, gli editor sono generalmente poco propensi a rischiare antologie sul mercato librario. Sei soddisfatto dei risultati?
Molto soddisfatto dei risultati narrativi. Tutti i racconti sono di ottimo livello, ed è stato compiuto un buon lavoro sulla scrittura e sulle trame. Ritengo sia anche originale l’impostazione. Sono riuscito a riunire sotto il segno dell’horror un numero incredibile di autori bravi e famosi, per sostenere la tesi che l’horror rappresenta comunque la base creativa per molti insospettabili, autori definiti giallisti o altro, ma come per nascondere la loro vera natura. Dal punto di vista editoriale, invece, non sono stato soddisfatto per niente. Volevo aprire una porta, fare in modo che il genere horror assurgesse a nuove vette. Ma la presenza di nomi grossi, ne ha decretato in qualche modo la fine, invece che il successo. Fare uscire l’antologia negli Oscar non è stato possibile per questioni economiche: sarebbe costato troppo. Così il libro è stato fuori un mese in edicola e adesso non esiste più e la cosa mi fa arrabbiare. Un’occasione sprecata senza averla in verità sprecata, in poche parole: il solito delirio assurdo.
Hai scritto romanzi per i giovanissimi. Come giudichi questa esperienza?
Mi piace scrivere per ragazzi. L’esperienza con la Disney è stata davvero molto bella. Stimolante. Per un autore abituato a entrare in mondi fantastici come me, non poteva essere altrimenti. In un romanzo per bambini, devi tener conto di tanti paletti, ma nello stesso tempo puoi lasciare che la fantasia parta per la tangente e si muova molto più liberamente. Entri nel mondo delle fiabe e tiri fuori tutti i mostri che vuoi. Solo che dopo li devi anche eliminare. Ovvio che in questi casi il lieto fine è obbligatorio.
Una notte troppo nera è andato molto bene. Mio figlio allora aveva otto anni e si guadagnò la foto sulla quarta di copertina con me, nella veste di consigliere di favola; poi alla conferenza stampa firmava autografi a destra e a manca come una star del cinema consumata ed esperta (persino assumendo un fare annoiato!). Da qualche tempo ho pronto un nuovo romanzo per ragazzi, l’inizio di una trilogia (tanto per cambiare, un altro serial!!!) che vorrebbe essere la risposta bolognese ad Harry Potter. Speriamo che riesca a vedere la luce della pubblicazione entro breve tempo.
In giro si dice che tu suoni sempre due volte ai campanelli... ;-) Però hai fatto/fai anche un sacco di altre cose. Giusto?
Sì, è vero: ne ho fatte davvero di tutti i colori: istruttore di nuoto, bagnino di salvataggio. Ho militato come batterista in una rock band per più di dieci anni, e fatto concerti in ogni dove. Sono autore e compositore e quasi laureto ad Architettura e al Dams. Ho scolpito, dipinto. Pratico arti marziali da vent’anni e non ho intenzione di smettere. Anche adesso che sono scrittore, cerco di fare il mestiere dilatandomi: insegno scrittura creativa in molte scuole. Organizzo reading. Scrivo sceneggiature. E faccio tanti serial: a destra e a manca. Ma suono ancora due volte ai campanelli. E la cosa sta diventando problematica. Spero di smetterla prima o poi, prima dell’infarto da stress lavorativo. A parte gli scherzi: lo scrittore a tempo pieno è alle porte, sta bussando (due volte!) e io sto per aprirgli. Sto scrivendo un thriller ambientato nel mondo delle Poste che decreterà la fine del capitolo. Vedremo: non voglio portarmi sfiga da solo parlando troppo presto. Ma noi scrittori siamo sognatori per natura, non possiamo farne a meno.
E' in libreria Genia, appena uscito per Dario Flaccovio Editore. Un titolo accattivante. Cosa ci anticipi di questa tua ultima novità?
Genia è un progetto che avevo in mente già da qualche tempo. Un’idea innescata da diverse suggestioni e anche da un progetto di serial televisivo pensato e proposto alla casa di produzione di Pupi Avati, una sorta di X-file ambientato ai tempi del ventennio, con un reparto speciale che si occupa dello studio dei fenomeni paranormali presieduto da Guglielmo Marconi (cosa realmente esisitita!).
Poi come sempre succede, i germogli crescono e arrivano altre idee che si aggiungono alle altre. L’intento è quello di esplorare il mistero legato a tutto ciò che di incomprensibile sta accadendo da sempre: dagli avvistamento UFO, ai cerchi del grano, alle teorie sulla invasione occulta degli extraterrestri, condendo il tutto con certe disquisizione sulle origini delle religioni, e tutto ciò che ha a che fare con l’esoterismo e il demonologico. Definirlo una sorta di risposta italiana a X-file e Millennium, può dare un poco l’idea, con intrighi legati ai servizi segreti del Vaticano ma non solo... Un horror giallo, poliziesco fantascientifico e chi più ne ha più ne metta. Io voglio sempre più scrivere una letteratura degenere, dove tutti si mescola e cambia.
Pensa che il primo capitolo della serie, il primo libro, è già uscito: nascostamente però. Si tratta di Cuori perduti, vincitore del Premio Tedeschi per il miglior giallo dell’anno nel 2001. La serie è già iniziata senza che nessuno lo sapesse. A proposito di deliri incombenti e non… Nel progetto, così come è pensato al momento, ci sono altri tre romanzi: Occhi di rosa, Enigma 33 e la conclusione (che sarà molto aperta, ovvio…) dal titolo significativo: La fine e il principio. Insomma, è proprio il caso di dirlo: si tratta di una saga: geniale!
Siamo ospiti di Thriller Magazine. Quali sono i tuoi thriller preferiti? Voglio anche qualche titolo italiano.
Domanda difficile. Perché sono tanti. E poi sono un indeciso per natura. Se ne cito uno, subito me ne viene in mente un altro e allora…boh. Provo a dire i primi che mi vengono in mente e parto subito con gli italiani: Almost blue di Lucarelli. L’oscura immensità della morte di Carlotto: terribilmente bello. Notturno bus di Rigosi. Città oscura di Altieri. Ma ce ne sarebbero altri, di Baldini, Pinketts, Dazieri, Matrone, Varese… mi rendo conto che sono anche tutti amici e così diventa davvero difficile citarne uno in particolare. Per gli stranieri è più facile. Chiudo gli occhi e scrivo i titoli che emergono di getto, come nei test attitudinali e vediamo cosa esce: Le strade dell’innocenza di Ellroy. Pioggia nera di Dennis Lehane. Debito di sangue di Connelly. Le radici del male di Dantec.
Come scrittore, c'è qualcosa che proprio ti disturba? Resta inteso che non sei tenuto alla sincerità se dichiararti può stroncare una felice "carriera"! ;-)
Certe logiche editoriali basate sulla facile convenienza che deturpano l’idea stessa di scrittura. Stiamo parlando di una forma di arte e le regole del budget debbono sposarsi anche con la presa di posizione scomoda. La mancanza di coraggio a lungo andare non paga e occorre sempre e comunque fare questo lavoro usando una parola che deve essere nello stesso tempo un atteggiamento di vita: Passione.
Ritorniamo alla spy story. Come vedi la situazione dello spionaggio (puro, contaminato o contaminante) di produzione italiana? Uno sguardo al presente, una previsione per il futuro.
Anche in questo campo gli italiani stanno dimostrando di non essere assolutamente inferiori agli stranieri. Però il dover fare una squadra di falsi nomi per riuscire a vendere, rappresenta sempre una forma di delirante compromesso, divertente fin che vuoi, ma in un certo qual modo assurdo. In questo caso il gioco è di dover sembrare altro e va bene lo stesso. Ho accettato di fare parte dell’operazione perché la trovo comunque una sfida letteraria divertente. Però ci sono anche autori che stanno riuscendo a pubblicare con successo in quel campo, anche firmando con il loro nome, vedi Genna e Altieri.
Speranze di esportare in modo significativo la nostra spy-story, quantomeno in Europa?
Speranze, certo. Quelle sono le ultime a morire, no? Io credo che potrebbe veramente esserci un mercato in quel senso. L’ho già detto prima: non abbiamo niente da invidiare a nessuno.
Cosa stai leggendo e, soprattutto, cosa stai scrivendo?
Sto leggendo diversi libri contemporaneamente: il romanzo appena uscito per la Colorado noir di Grugni: Let it be. Gorilla blues di Dazieri. Ninna nanna di Palahniuk, La sottile linea scura di Lansdale. Poi molti libri per documentarmi per i prossimi lavori. Sto pensando al plot del terzo Hydra crisis, cercando di prevedere anche le prossime storie, per avere coerenza nel quadro generale della cosiddetta storiona, quella che fa da tratto di unione ai diversi romanzi. Poi sto iniziando a scrivere quel thriller ambientato nel mondo della Posta, di cui ho già accennato prima. Raccolgo materiale per il secondo romanzo della saga di Genia. E spero di piazzare il nuovo per ragazzi. Insomma il lavoro non manca e le ore di sonno sono poche. Ma c’è un vecchio detto da postini: hai voluto la bicicletta? Allora adesso pedala!
Ti saluto e ti ringrazio. Lascio a te l'onere e l'opportunità di chiudere l'intervista. Questa missione è sostanzialmente conclusa. Hai l'ultima cartuccia prima di ripiegare. Usala, se lo ritieni opportuno.
…Reno fissò la pistola che teneva in pugno, era scura, lucida di metallo. L’odore della cordite gli penetrava le narici, le orecchie assordate dai colpi appena esplosi. Pensò che doveva avere un colpo, un altro ancora, l’ultimo: dentro al caricatore. Alzò lo sguardo per guardare dritto negli occhi l’uomo che gli stava di fronte. Testa rasata, barba incolta, proprio come lui, sembrava suo gemello. Loro due erano uguali. Stessa faccia, stessa espressione. Pensò che gli sarebbe servito ancora quell’uomo. Non aveva senso ammazzarlo. Così abbassò la Five SeveN e sorrise. L’uomo di fronte a lui fece lo stesso come in uno specchio.
- Continua così, amico. Se non vuoi fare una brutta fine -. La sua voce era profonda e tesa.
Nerozzi restituì lo sguardo del suo alter ego e mosse le labbra per parlare. - Ci facciamo un bicchiere di bourbon, gran bastardo che non sei altro? -
Reno annuì lentamente, mentre riponeva l’arma nella fondina ascellare. - Vada per un bourbon. Liscio però. -
L’Hydra da qualche parte, nella terra dei mostri, stava ridendo piano.
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