Fa piacere vedere questo volume saggistico di Andrea Accorsi e Daniela Ferro che, assieme a Roma Criminale, pubblicato dallo stesso marchio editoriale, cerca di ricostruire una Mappa del Crimine a Milano che può essere utile sia per chi ama ricostruire il lato più oscuro della sua metropoli, sia per lo scrittore al quale, magari, vengono risparmiate ore di ricerche negli archivi delle redazioni. In effetti la parte eminentemente giornalistica è eccellente, ricostruisce delitti da quelli di Rina Fort, a vari episodi di violenza come il furto al furgone di via Imbonati. Da milanese e ricercatore di certi aspetti più neri della città avrei qualcosa da ridire sul quadro attuale, ma diciamo semplicemente che gli autori sembrano più attenti al passato criminale di Milano (con una certa nostalgia per i bei tempi andati che si rivela nel riproporre le canzoni della mala e nell’esaltazione dell’opera di Scerbanenco e Olivieri). Per carità, Scerbanenco non si tocca e i gusti e lo spirito con cui viene scritto un libro appartengono agli autori. I lettori “paganti” ovviamente non sono obbligati a condividere. Soprattutto trovo manchevole (e forse era meglio evitarle perché il libro era piacevole così com’era) le appendici critiche sul cinema e la narrativa che appaiono fortemente monche e unilaterali. Come dicevo, ognuno ha diritto a coltivare e divulgare un proprio giudizio. Il disprezzo per il poliziottesco in generale e non solo nella sua declinazione milanese non è condiviso da chi scrive ma giustificabile da un diverso gusto degli autori. Dire però che Milano esce umiliata e tradita dai film di Di Leo “nella misura in cui (parecchio che non sentivo tale allocuzione che parla da sola…) non è fedelmente ritratta, intrappolata in incolori e sciatti luoghi comuni. Muta e senz’anima come un pannello scenografico incolore” mi sembra esagerato e non giusto. E il commento sull’opera di altri ottimi professionisti come Umberto Lenzi e Mario Caiano non è migliore. Più che il mio disappunto per giudizi così negativi su “colleghi” (loro registi e io scrittore) non posso esprimere. Forse una citazione da Milano Calibro 9. “Tu quando incontri a uno come Ugo Piazza, il cappello ti devi levare…” e chi vuol intendere, intenda…
Ancor più gravi si fanno le mancanze quando affrontiamo il discorso letterario. Ora, nessuno vuol togliere nulla a Scerbanenco. La sua Milano nera degli anni ’60 rimane insuperata e a livello di scrittura e dialoghi un modello di fronte al quale sono io a togliermi il cappello. Ma se si ha la pretesa di scrivere un minisaggio sugli scrittori che hanno parlato di Milano nera e criminale non si può veramente tagliare con l’accetta così come si legge in questo capitolo. Capisco che i gusti degli autori vadano in una direzione opposta alla mia e questo lo rispetto. Ma se vogliamo citare gli autori che hanno dato vita a una Milano criminale negli ultimi quindici anni le dimenticanze sono davvero troppe. Del mio lavoro non voglio parlare. So di essermi allontanato da Milano in varie occasioni ma di averne fornito un ritratto “personale”, discutibile probabilmente secondo il metro degli autori, ma abbastanza puntuale in diversi romanzi e racconti tra l’altro neanche pubblicati dall’ultimo degli editori (che comunque merita sempre rispetto). Ricordate che Mondadori quando ancora la moda del giallo italiano con sfondo sociale e fatto di storie non sviluppate non spingeva tutti a scrivere il noir, pubblicò una collana che si chiamava Nero Italiano? Molti degli autori che ne fecero parte, parlarono della loro Milano e in modo differente. Angelo Longoni con Caccia alle Mosche, era molto diverso dal Bocconiano di Giuseppe Meroni. E Sergio Altieri con L’Uomo esterno che ha avuto due versioni (la più recente aggiornata quella pubblicata da Corbaccio) dove lo mettiamo? Nulla si dice di autori come Giuseppe Genna, Franco Forte e Nicoletta Vallorani, Stefano Massaron solo per citare alcuni degli autori (non sono qui per parlare di tutti, visto che non è questo un saggio sull’argomento) che hanno parlato della Milano criminale. E questi scrittori hanno mostrato una tale varietà di stili e linguaggi, visioni della città da non poter essere legati in un unico fascio da bruciare. Di fatto si ha l’impressione che in queste appendici il gusto letterario e cinematografico degli autori abbia avuto il sopravvento sullo stile giornalistico che invece caratterizza la parte precedente che, al contrario, è obiettiva e, come dicevo, ben fatta e interessante.
Il lettore che segue questa recensione mi perdoni. Chi mi conosce sa che piuttosto che recensire un libro in maniera negativa preferisco non parlarne ma questa volta mi sono proprio girate… come lettore, come autore, come recensore… E non me ne vogliano gli autori, dei quali ho apprezzato lo sforzo giornalistico ma non quello critico. Diciamo che l’ultima parte potevano risparmiarsela, o svolgerla nello stesso spirito della prima.
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