Capo guardò il compagno con uno sguardo incredulo, pieno di stupore.
— Allora non sei così idiota. Hai ragione, porca puttana.
— Giusto. Vado io?
— No, vado io. Tu aspetta qui.
Capo si accese una sigaretta e poi fermò il furgone dietro alla macchina bloccata.
— Ok.
Appena Capo fu uscito dal furgone, Topo prese di corsa la bottiglia dell’urina e si strappò il bottone dei pantaloni. Quando finalmente riuscì a svuotarsi la vescica, tirò un sospiro e la sua espressione si avvicinò molto a quella di un uomo in estasi, tanto da non accorgersi che una buona metà di quello che era uscito dal suo pene non era entrato nella bottiglia, ma si era cosparso sui pantaloni.
* * *
Si ferma un furgone. Io cerco nella borsa degli attrezzi. Vedo un’ombra avvicinarsi, ormai non ci casco più. Trovo quello che cercavo. Una luce illumina due baffi e un sorriso.
— Serve aiuto?
Baffi, sorriso, sbuffi di fumo dalla bocca. Lo sapevo, afferro con tutta l’energia il cric e lo estraggo dalla borsa.
— Signore?
Mi volto velocemente e sferro con tutta la forza che mi è rimasta un colpo violento alla testa del cervo. Dio che gioia! Lui cade giù senza nemmeno urlare. Testa di cazzo, almeno questa soddisfazione me la tolgo. Il cervo è per terra che si muove, io mi abbasso e lo colpisco ancora alla testa. Più volte. Mi sta passando il freddo, l’adrenalina mi riempie il corpo, mentre sfondo la testa di quest’uomo. E io che li avevo visti muoversi, ma lo sapevo che non era vero. Mi abbasso di nuovo e calo ancora il cric. Per terra c’è di tutto, sangue, ossa, cervello. L’ho ridotto in poltiglia, la sua faccia di merda non esiste più. E io non sento più neanche la stanchezza e mi metto a fischiettare la canzone di Caparezza. Poi sento una donna che urla. Tesoro, ma se fino a qualche ora fa tossivi! E invece ora ha una voce squillante che potrebbe fare un’audizione. Sul furgone del cervo mi era sembrata una ragazzina, ma a giudicarla ora avrà trent’anni. Ma anche il cervo aveva la maglia a collo alto e non era vestito da poliziotto, sono solo gli scherzi della mente. Comunque urla come una matta, e io canto come un matto. Senza il cervo il mondo è più bello, anche se siamo alla fine del viaggio.
— Però non stai urlando a tempo!
* * *
Il medico uscì di nuovo dalla sala operatoria improvvisata. Con sé c’erano due dei tre gorilla armati. La donna, appena lo vide, spense subito la sigaretta e lo guardò, in attesa.
— Non c’è più tempo, non possiamo più aspettare. Il cuore non arriverà, ormai.
— Che stai dicendo? Il cuore è in viaggio.
— No. Sta nevicando da ore, il traffico è bloccato ovunque. Ormai non arriverà nessun cuore.
— E allora cosa facciamo? — disse impaurita. — Lui non deve morire.
— Facciamo quello che ci ha ordinato di fare — rispose il medico tranquillo. — Lui non morirà. Prendetela.
I due gorilla afferrarono la donna per le braccia e iniziarono a trascinarla verso la sala operatoria.
— Ho esaminato a fondo anche la tua cartella clinica — spiegò il medico — è tutto compatibile. Prenderemo il tuo cuore, Pat. Mi dispiace.
La donna sgranò gli occhi e urlò. Il medico si era appena voltato.
— Fatela tacere.
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