L’edizione 2024 di Stranimondi, festival del libro fantastico che si tiene da dieci anni a Milano, ha visto la presenza di numerosi panels, fra i quali vi segnalo oggi quello moderato da Giuliana Misserville, autrice dei saggi Ursula Le Guin e le sovversioni del genere (Asterisco, 2024) e Donne e fantastico. Narrativa oltre i generi (Mimesis, 2020), nonché curatrice della raccolta di racconti Stasera faremo cadere il cielo (Zona 42, 2024), avente per oggetto il rapporto fra queerness e fantascienza italiana. Insieme alla stessa Misserville, erano presenti Angelica De Palo, autrice e studiosa scifi; Caterina Mortillaro, scrittrice e curatrice dell’antologia Divergender (con Silvia Treves, Delos Digital, 2019) e Nicoletta Vallorani, fra le più illustri fantascientiste italiane e docente universitaria.

Prendendo spunto da un numero di DWF del 1991 chiamato “Aliene quotidiane”, dove Simonetta Spinelli denunciava il fatto che la rappresentazione di sessualità non eteronormative fosse pressocché assente dalla scifi italiana, Misserville parte dalla constatazione che, nonostante siano ormai passati 23 anni, la situazione non sia cambiata molto. Mentre nel mondo anglosassone l’affermazione di personaggə LGBTQAI+ all’interno di romanzi scifi è diventata una presenza innegabile nel corso degli ultimi vent’anni, dando visibilità alle numerose sfaccettature dell’essere queer come forme di empowerment in grado di cambiare il tessuto della società, in Italia sembra esserci ancora troppa resistenza nei confronti di quella che viene considerata come una “questione privata”, che non andrebbe condivisa con chi legge. Le preferenze sessuali di protagonistə e autorə, in altre parole, non dovrebbero andare a “turbare l’equilibrio” della scrittura, vista evidentemente come un’attività neutra e scevra dal costruire una precisa visione del mondo, laddove invece nominare, e dunque rappresentare, è già di per sé un atto politico. Ma, aggiunge De Palo, non solo da parte di chi legge ma anche da parte di chi scrive c’è molta remora a parlare della sfera privata e personale, nonostante un concetto fondamentale dei movimenti di liberazione degli anni ‘60 e ‘70 fosse proprio quello de “il personale è politico”. La prima sovversione, precisa infatti De Palo, parte proprio dal sé e dalle scelte che si compiono nella scrittura in quanto riflessione ed estensione di questo atto sovversivo. Il problema però riguarda anche le scelte editoriali: spesso, chi scrive si ritrova a dover fare i conti con regole molto costrittive da parte di editor e curatori di collana, che condiziano indirettamente anche la mentalità di chi crea e di chi legge. A questo proposito, Montillaro osserva come la fantascienza italiana sembri in effetti caratterizzata da un’autocensura per quel che riguarda l’esplorazione delle relazioni affettive e sessuali delə personaggə, quasi che parlare di tali tematiche facesse sconfinare la propria opera nel romance.

Ci sono per fortuna, precisa Misserville, delle preziose eccezioni, che fanno sperare in un cambiamento: l’antologia Divergender del 2019, comprendente sia saggi che racconti, è stato un volume apri-pista per questo cambiamento di rotta. Ad esso hanno fatto seguito l’antologia 404 Fantascienza non conforme (self-published, 2021) curata da Alessandro Forlani; Human/ (Mosca Bianca, 2021), a cura di Diletta Crudeli; Il mio genere è top secret (Future Fiction, 2022), a cura di Martina Del Romano; l’ultimo romanzo di Vallorani, Noi siamo campo di battaglia (Zona 42, 2022), la cui protagonista è dichiaratamente lesbica, e nel 2024 i già citati Ursula Le Guin e le sovversioni del genere e l’antologia Stasera faremo cadere il cielo.

De Palo aggiunge che se nella scifi italiana raramente si riesce ad uscire dagli archetipi culturali dominanti è anche perché i movimenti LGBTQAI+ hanno faticato a farsi strada a livello politico e sociale e ad avere dunque un forte impatto sull’immaginario collettivo, arrivando a influenzare il dibattito culturale del paese molto più tardi rispetto a quanto avvenuto nel mondo anglosassone. In Italia, precisa Vallorani, il romanzo scifi è arrivato più tardi a parlare di tali tematiche proprio perché a livello collettivo, come cultura e come nazione, questa riflessione è slittata in avanti negli anni. Il ritardo editoriale, in altre parole, riflette un ritardo politico, sociale e culturale. Ma ragionare per opposizioni, ammette Vallorani, è una consuetudine talmente radicata nella mente delle persone da risultare molto difficile da scardinare. Aprirsi a una pluralità di visione è tuttavia non solo possibile ma anche necessario, per capire in che direzione sta andando il mondo. In tal senso, la scifi italiana contemporanea è caratterizzata da due tendenze diverse: da una parte, c’è chi continua a piegarsi alle regole tradizionali, prediligendo una struttura dicotomica e gerarchica; dall’altra, c’è chi sceglie la strada del romanzo sociale, dove possono trovare spazio vari tipi di riflessioni, comprese quelle inerenti al mondo LGBTQAI+ in quanto parte di mutamenti in atto nel reale. Oggi, possiamo vedere tali tematiche diventare oggetto di studio e analisi sempre più attenta e frequente anche su blog o siti generalisti e che normalmente non si occupano di scifi ma di cultura considerata “alta”, complice anche l’attenzione che i grandi editori hanno nei confronti di opere pubblicate all’estero, come ad esempio Thrust di Lidia Yuknavitch, in passato relegate a collane-nicchia per appassionati del genere SF. Va dunque registrata un’apertura positiva della cultura italiana al scifi, anche se la tendenza all’esterofilia rimane ancora preponderante, anche in ambito di tematiche queer.

Ma che rapporto esiste fra narrativa fantastica e queerness? Può il genere scifi dar conto di tutte le sfumature dell’identità e della sessualità, rispetto alla letteratura mainstream o ad altre forme di scrittura? Montillaro non ha dubbi a proposito: la fantascienza è sicuramente il genere più adatto ad esplorare tali tematiche, perché permette già in partenza di immaginare mondi e corporeità diversi da quanto si manifesta come reale nel mondo in cui viviamo: se in natura siamo abituatə a vedere due sessi biologici nelle varie specie, e dunque a classificare la realtà in base a tale divisione binaria, la fantascienza consente di aprire l’immaginario ad opzioni altre, prevedendo ad esempio forme di accoppiamento inedite che non implichino necessariamente la presenza di due sfere fra loro opposte e/o complementari, interrogandosi così sulla presunta universalità e inevitabilità del nostro modo consueto di strutturare la realtà. Un esempio efficace di come la fantascienza può sfidare le regole implicite e date per scontate sulla divisione gerarchica fra i generi è The left hand of darkness di Le Guin, che funge da critica al binarismo inconscio che condiziona da secoli il nostro modo di rappresentare il mondo e i rapporti fra le persone. La fantascienza, aggiunge Misserville, può davvero permettere a chi scrive di scollegare la sessualità e il genere dalla loro funzione sociale, dando così sia alle donne che alle soggettività LGBTQAI+ la possibilità di uscire dalla posizione subalterna che il patriarcato ha riservato loro, trovando uno spazio di libertà inedito e potenzialmente in grado di cambiare l’immaginario. In altre parole, la letteratura scifi può aiutarci a scardinare categorie sentite come “naturali” o immutabili, smascherandole come assunti culturali e contingenti.

Parlando di letteratura, tale opera di scardinamento passa necessariamente attraverso il linguaggio e il modo in cui esso plasma, ingabbiando o liberando, i generi e le identità. Se una lingua come l’inglese, essendo priva di desinenze, consente di sperimentare maggiormente e di portare alla luce la stigmatizzazione che alcune sessualità ricevono a livello culturale (esemplare è in tal senso l’opera di Charlie Jane Anders, non a caso di difficile resa in italiano), diversa è la situazione di una lingua come l’italiano, che costringe a prendere una posizione molto netta in fatto di genere quando si delinea unə personaggiə. Rispetto al latino, che prevedeva l’opzione del genere neutro, la lingua italiana risulta più problematica per descrivere i vari livelli di rappresentazione delle soggettività queer, e le soluzioni finora trovate da linguistə, come l’uso dell’asterisco o dello schwa, sono spesso fonte di fraintendimento, causando tensioni anche all’interno della stessa galassia femminista ed LGBTQAI+, soprattutto da parte delle femministe storiche afferenti alla teoria della differenza sessuale, che ritengono questo usomortificante per le donne in quanto ennesimo atto di cancellazione della loro esistenza. D’altra parte, gli attacchi da parte del governo e delle organizzazioni pro-vita e famiglia a una fantomatica quanto inesistente “ideologia gender” rende la necessità di nominare e rappresentare le sessualità e identità queer impellente, perché oggetto di una cancellazione sistematica dal punto di vista politico, sociale, culturale, ed esistenziale (basti pensare, questa è un’aggiunta personale di chi scrive, alla recentissima approvazione da parte del Senato del DDL Varchi, che rende la gestazione per altri, spesso l’unica opzione di poter avere figliə per coppie e persone LGBTQAI+, un reato “universale”, gettando bambinə già natə in un inferno di negazioni e cancellazioni infinite). Il dibattito “culturale” (ma spesso si tratta di insulti veri e propri, aggiungerei io) sulle persone LGBTQAI+, sottolinea Misserville, spesso si riduce a banalizzare il movimento e le sue sfaccettature in un mera “varietà di scelta”, come se essere queer equivalga a scegliere il gelato che più si preferisce da una gamma variopinta di gusti, quando invece il percorso identitario queer implica il più delle volte una ricerca affannosa di una propria autonomia all’interno di una società che non ammette divergenze o eccentricità rispetto al percorso prestabilito per tuttə. L’uso dello schwa o dell’asterisco è in tal senso importante in quanto scelta politica, ribadisce Misserville, non è un vezzo né una presa di posizione dogmatica; non è un neutro che cancella, o un’assenza dove tutto è uguale e appiattito, ma un voler tentare di dar voce a diverse forme di sessualità e dello stare al mondo. Fra l’altro, come direbbero le linguiste Manuela Manera e Vera Gheno, sono solo due delle innumerevoli soluzioni possibili, e dunque non rappresentano certo una regola immutabile: la scelta in futuro potrebbe ricadere su altre opzioni, in base a quello che lə parlanti della lingua italiana sceglieranno come più adatto ad esprimere quest’idea di pluralismo e apertura (e non, si badi bene, di “inclusione”, parola controversa che, ricorda Misserville, implica una concessione da parte di chi detiene il potere su chi includere e chi no, all’interno di un’ennesima logica gerarchica che oppone un dentro a un fuori, un incluso a un escluso).

Insomma, commenta De Palo, quando si scrive il linguaggio non può essere indifferente e, conclude Vallorani, il privilegio della letteratura è quello di permettere a chi scrive di esplorare altre vite dando voce e visibilità anche a tutto ciò che non è maschio, bianco, occidentale, cristiano ed etero, senza tuttavia correre il rischio dell’appropriazione. Per farla finita con l’antropocene in quanto narrazione tossica del mondo, e pensare a un rapporto diverso fra gli esseri viventi, come suggerirebbe Donna Haraway.