Ho apprezzato molto il romanzo della scrittrice afroamericana Zora Neale Hurston, pubblicato nel 1937. Racconta la vita di una ragazza nera, Janie, agli inizi del secolo scorso che vive con la nonna, ex schiava, che gode del privilegio di vivere in una casa nel cortile dei bianchi. Janie non si accorge di essere nera, e quindi diversa, fino a quando non vede sé stessa in una foto che la ritrae insieme agli altri bambini compagni di giochi, figli della famiglia bianca. Janie è orfana e per giunta nata dallo stupro di sua madre ragazzina da parte di un professore bianco. Della madre, che se ne è andata chissà dove, non ha ricordi ma è stata allevata amorosamente dalla nonna.
La narrazione copre un arco di quasi trent’anni. Il percorso della vita della protagonista è circolare e procede per fughe: dall’allontanamento dalla casa della nonna per sposare quasi per forza il primo marito, poi la fuga con un uomo che si sta dirigendo verso una città abitata da neri per far fortuna, nel vero spirito americano della frontiera. L’uomo riesce a costruire una solida base economica grazie a un emporio dove lavorano entrambi, inoltre è lo stimato sindaco della città. Passano vent’anni durante i quali Janie capisce che la vita che aveva sognato non è quella che sta vivendo in quella città, accanto a un uomo che non perde occasione per umiliarla davanti a tutti. Alla sua morte, Janie, ancora bella nonostante sia vicina al quarant’anni, riprende in mano la propria vita e se ne va, senza dire niente a nessuno, con un ragazzo più giovane di lei di quindici anni. Vagano da uno Stato all’altro, alla ricerca di lavori per tirare avanti.
Sono anni felici, pieni di amore e di musica, ma alla fine Janie è costretta a tornare nella cittadina da cui era partita. Ci si aspetta che ricominci un’altra volta da zero.
La trama parrebbe a prima vista poco interessante se non addirittura banale. Invece l’autrice riesce a universalizzare la storia di una donna nera che attraversa gli anni bui della storia americana, piegata dalle avversità del destino e da matrimoni infelici ma che riesce ogni volta a risorgere e a ritrovare sé stessa. Quello che rende il romanzo superlativo è lo stile che colpisce fin dall’incipit. Certi passaggi che descrivono le folle dei disperati che percorrono miglia e miglia con mezzi di fortuna per cercare un lavoro da braccianti ricordano i dannati di Steinbeck.
“Dai bar… veniva un gran chiasso tutta la notte. Col piano che viveva tre vite in una. I blues inventati e subito consumati. Balli, pugni, canzoni, pianti, risate, amori conquistati e perduti nel giro di un’ora. Lavorare tutto il giorno per denaro, fare a pugni tutta la notte per amore.” (pp. 130,131).
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