Una sorpresa. Questa è stata per me la lettura di “Brucia Banzai”, il noir di Paolo Tagliaferri pubblicato da Armando Editore. E non per il mondo sui generis dei surfisti, già toccato da Don Winslow, di cui chiaramente Tagliaferri è un fan, ma per l’intero impianto dell’opera e la scrittura con la sua leggerezza venata di ironia coniugata, talvolta, a momenti di malinconia, capace di restituire al lettore, con i suoi personaggi, il milieu criminale di Civitavecchia e un’ambientazione che esprime la provincia romana a nord di Ostia a cui l’autore dà la dignità letteraria di quella Santa Monica Bay che vive nel suo immaginario.
D’altra parte, Tagliaferri nella vita fa l’avvocato penalista, oltre al surfista tra un’udienza e l’altra, e quindi conosce il mondo nero dei clienti che si rivolgono a lui come professionista e quello luminoso del mare, con il suo vento, le sue onde, il suo cielo azzurro, nelle pause. Componenti da cui Tagliaferri, con il taglio narrativo giusto, ha tratto uno shake il cui risultato è questo romanzo “Brucia Banzai”, dove Banzai sta per un tratto di mare della costa di Santa Marinella preferita dai surfisti. Ma è anche il posto in cui è avvenuto l’omicidio di Romolo, detto Squaletto per il suo coraggioso solcare le onde, che però vive di narcotraffico, tra uscite notturne verso imbarcazioni provenienti dall’America del sud per consegne a mare aperto e che qualcuno ha ammazzato.
Un delitto di cui i Caporeggiani, una famiglia malavitosa, a lui collegata, vogliono venire a capo, scoprire chi è stato, sospettando una guerra per bande per il controllo, appunto, del traffico di droga. Ingaggiano, per questo, l’avvocato Riccardo Triari, liberamente un alter ego di Paolo Tagliaferri, con lo studio allo stesso indirizzo a Civitavecchia, a due passi da quella che fu la prima casa di Stendhal quando nel 1831 arrivò in città come console francese, dopo essere stato respinto da Metternich a Trieste perché filo carbonaro, amico di Silvio Pellico. E qui il nostro avvocato penalista s’immerge in un’indagine che tra non pochi pericoli e minacce, femmes fatales, licenze varie, e una mamma alle spalle che tutela il suo bambino ormai cresciuto e ostinatamente celibe, accompagnando il lettore per una inedita Santa Marinella, con la sue storiche ville un tempo abitate da personaggi famosi, da Claretta Petacci a Roberto Rossellini e Ingrid Bergman a Guglielmo Marconi. Non manca, però, anche una Civitavecchia popolare, a cominciare dal mercato, tribunale, porto e carcere. Entrambe città che ci auguriamo continuino a fare da sfondo in futuro ad altre avventure del nostro penalista. Che, per quanto ispirato ai grandi maestri del noir americano, non poche volte ricordati col fine di rapportare il personaggio io narrante di Riccardo Triari a una loro controfigura, si rende conto umilmente dell’abisso che lo separa da quelli, ma così dandogli, invece, una personalità propria, autentica. Molto maggiore, per intenderci, di altri autori che invece, illudendosi di dare ai propri eroi le stesse caratteristiche degli originali, finiscono col scimmiottarli, facendone, loro sì, delle macchiette.
Riccardo Triari invece qui è vero: un avvocato penalista, di provincia, imbevuto di letteratura e di cinema, che sogna di essere Philip Marlowe ne “Il grande sonno” o l’Humphrey Bogart del “Falcone maltese” o il Jack Nicholson in “Chinatow”. Ma poi, a conti fatti, si rende conto di trovarsi solo nella sua natìa e tanto amata Santa Marinella, e di essere, appunto, un avvocato di provincia alle prese con gente come i Caporeggiani, che lo hanno pagato con un rotolo di contanti e gli indirizzano le indagini a modo loro. E con il loro linguaggio: “- Sapemo che er milanese ha dichiarato tutto il suo amore per Romolo nostro. Sapemo che lei è annato a da’ fastidio pure a li zingari. Senza paura, bravo. Sapemo pure che dopo s’è mosso bene, però, avvoca’, mancano i risultati. Ce chiami. E me raccomanno, niente scherzi, chi ha ammazzato Romolo deve esse, come dire… mannaggia, nun me vie’ er termine. Mirko, tu che hai fatto le scole arte, come se dice?
Un lampo argenteo, Mirko fa scattare la lama di un coltello. Il tempo di registrare la lucentezza dell’acciaio e la mano è di nuovo vuota.
- Ecco, bravo Mirko, c’hai sempre le parole giuste.”
E il lettore si accorge che Paolo Tagliaferri, non so come avvocato, ma come scrittore ha fatto strada.
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