Presentato al Prix Italia 2005 poche settimane fa sta per approdare in televisone su Raidue un serial in quattro episodi intitolato Nebbie e delitti e dedicato al Commissario Soneri creato da Valerio Varesi.
A vestire le vesti del poliziotto creato dallo scrittore parmense sarà Luca Barbareschi.
Per approfondire meglio i contenuti di questa nuova fiction abbiamo fatto quattro chiacchiere con lo stesso Varesi.
Come è nato il progetto televisivo di "Nebbie e delitti"?
"Naturalmente", senza bisogno della procreazione assistita. I titolari della "Casanova", società di produzione romana di Aureliano Lalli Persiani, Susanna Bolchi e Luca Barbareschi, hanno letto i miei libri e si sono affezionati al personaggio Soneri e alle atmosfere padane in cui lavora.
Mi hanno telefonato, ci siamo incontrati a Bologna e Roma, dopodiché l'intesa è sorta spontaneamente. Il serial è stato battezzato "Nebbie e delitti" e nelle intenzioni mie e dei produttori c'è anche una seconda serie di sei episodi che è in corso di scrittura. Questa volta, tuttavia, non più a partire da miei libri, ma da soggetti che io stesso scriverò assieme agli sceneggiatori Rai Angelo Pasquini e Silvia Napolitano.
Che tipo di serial devono aspettarsi i telespettatori?
Una serie di episodi di qualità alta girati con cura e con grande attenzione per le atmosfere. L'ambientazione e la scelta degli attori è stata molto accurata. Direi, non un prodotto standard come se ne vedono a decine sulle tv commerciali e non, ma un prodotto che sembra girato con una cura d'altri tempi. Non è un caso che Rai2 candidi "Nebbie e delitti" al premio Italia come una delle migliori produzioni dell'annata.
Come si è trovato Luca Barbareschi a vestire i panni del tuo eroe?
"Il risultato è stato ottimo.
Anche se Barbareschi è abituato (e ha abituato il suo pubblico) a ruoli in cui interpreta il prepotente, la sciupafemmine e l'esuberante, ha saputo calarsi nel ruolo del commissario Soneri, un introverso e taciturno, in modo naturale.
Forse perché, come lui mi ha confessato, il suo nocciolo più intimo di persona è simile a questo personaggio e in fondo ha interpretato quella parte di se stesso più vera.
Mi pare che questa di "Nebbie e delitti" sia l'occasione anche per vedere un Barbareschi inedito in televisione.
E la Stefanenko?
E' davvero brava e simpatica. Ovviamente, negli sceneggiati è stato necessario giustificare il suo accento russo inventando un genitore di quella zona, ma per il resto è perfetta.
Anche per lei si tratta di una sorta di debutto in uno sceneggiato televisivo e questo rappresenta un'altra novità.
Ha saputo rendere Angela, la fidanzata di Soneri, nel modo giusto, con una equilibrata dosatura di agressività e dolcezza.
Attualmente in Germania il tuo "Il fiume delle nebbie" sta andando benissimo, cosa credi che amino i tedeschi del tuo immaginario?
Sono molto attratti dalla nostra storia recente che ne fa da sfondo.
In particolare da come l'Italia abbia fatto i conti col proprio passato. O come non li abbia fatti, secondo la tesi che emerge dal mio libro. In effetti, la Germania ha affrontato il problema del nazismo molto meglio di come abbia fatto l'Italia col fascismo che è stato solo rimosso. Non è un caso che sulle stragi nazi-fasciste compiute in Italia, indaghino oggi i magistrati tedeschi i quali spediscono poi ai colleghi italiani i fascicoli per competenza.
Ma tranne alcuni casi, i reati sono già prescritti grazie al fatto che molti documenti sono stati sepolti in archivi poi segretati da persone conniventi col passato regime.
Ciò è dimostrato dai cosiddetti "'armadi della vergogna"' riaperti solo oggi per iniziativa di alcuni parlamentari. Inoltre, sono interessati al contesto geografico come può essere la zona attorno al Po di cui narra il libro
Per il tuo primo libro "Ultime notizie di una fuga" ti eri ispirato al reale, il caso della famiglia Carretta, cosa ti aveva colpito di quella storia?
L'intreccio tra fatto di cronaca e società.
Quel caso è rappresentativo di molte cose: della corsa all'arricchimento che tralascia i rapporti umani, di un dramma piccolo-borghese, di una nevrosi ossessiva come ce ne sono tante nel mondo d'oggi, dei legami affaristici nelle aziende che appaiono impeccabili e poi nascondono contabilità occulte. Infine di un contesto sociale, quello della Provincia, che oggi appare più interessante e rappresentativo di quello metropolitano.
Mi pare che sia stato Massimo Carlotto a dire che i giornali di provincia, portando alla ribalta personaggi appartati e storie di ambiente, siano oggi la lettura più interessante per uno scrittore.
E' vero che hai da sempre un rapporto galeotto editoriale con la città di Milano?
Ho un bel rapporto editoriale.
Mi piacerebbe che fosse anche galeotto. In realtà con la Frassinelli, la mia casa editrice, è quasi un matrimonio. Ci siamo piaciuti immediatamente, non è stata una scelta per procura. Con la città di Milano (intesa come editoria), mi sono sempre trovato molto bene. C'è professionalità e bravura, ma a dire il vero, a Milano, non mi sono mai trovato male nemmeno in generale. Credo che sia una di quelle città che soffrano di un'immagine al di sotto dei loro meriti. Al contrario, ci sono altre città in Italia che godono di una fama che supera anche di molto ciò che realmente sono.
Hai mai pensato di ambientare una storia di Soneri proprio nel capoluogo meneghino e se sì che tipo di storia sarebbe?
No non ci ho mai pensato. Prima di tutto perché lì ci sono quelli della "scuola dei duri" che non tollererebbero un'invasione di campo. Poi c'è Pinketts che conosce le arti marziali e non scherza. In secondo luogo perché la metropoli non è l'ambiente che preferisco né da scrittore né da cittadino. Le mie storie sono vicende di provincia, un po' torbide eperfettamente inserite nella presunta paciosità della ricchezza padana.
Milano ha già avuto e ha tuttora i propri scrittori.
Come li ha Bologna, altra realtà che io, pur lavorando sotto le due torri, sento come del tutto estranea.
Come è nata in te l'idea di creare una saga poliziesca come quella di Soneri e come trovi che il giallo aiuti gli scrittori a narrare l'Italia contemporanea?
Credo a una letteratura che si occupa anche del mondo e ci si immerga raccontandolo. A un certo punto ho capito che il noir e il poliziesco potevano essere degli ottimi strumenti per entrare dentro il reale. Non solo per raccontare vicende del mondo attuale, ma per descrivere anche storie umane che normalmente sono escluse dal grande circuito della comunicazione di massa. Per esempio, un dato del giornalismo di oggi è la scomparsa della cronaca. Salvo fatti eclatanti non ve n'è più traccia. E anche gli omicidi che finiscono sulle pagine dei giornali sono scelti in base a criteri assolutamente discrezionali. Dipende da dove accadono (preferibilmente ci si occupa di quelli avvenuti nelle grandi città) e da chi decide di raccontarli (se sono i grandi giornali diventa un caso). In realtà ci sono tante altre vicende che, pur essendo anche più rappresentative del mondo, non vengono prese in considerazione, specie quelle che accadono in provincia. Eppure, spesso, sono questi i fatti che offrono più spunti per una lettura della realtà.
In "Le ombre di Montelupo" vi è più di un accenno velato al caso Parmalat, perché?
Ho volutamente cercato di rappresentare in scala ridotta la più grande truffa europea di questi ultimi anni e ho altresì cercato di mostrarne l'effetto su un paese dell'alto appennino chiuso tra monti.
Il contesto non è quello di piazza Affari, ma i meccanismi psicologici, gli odi, le disperazioni, i suicidi e le rovine sono gli stessi in una comunità che, a vari gradi, è tutta coinvolta nella truffa. Ho cercato di rappresentare in questo modo uno degli aspetti del mondo d'oggi: l'avidità che si alimenta da un capitalismo senza etica e senza scrupoli. Il corrompimento dei valori ereditati dal dopoguerra è alla base dei malesseri in cui ci dibattiamo.
Penso che questo modo di intendere la letteratura sia una delle cifre del giallo e del noir contemporaneo non a caso ormai battezzato come romanzo sociale.
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