Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente.
Probabilmente sono in un ospedale psichiatrico delirando sotto sedativi, oppure all'interno di Matrix a sognare una realtà che non esiste. La banale verità è che scrivo al computer nel mio piccolo studio, dopo aver fatto alcuni passaggi preparatori. Mi è capitato, qualche volta, di scrivere al bar oppure in vacanza, ma per cercare la giusta concentrazione sono necessari il mio studio e una adeguata colonna sonora. E molto caffè.
Come scegli le tue vittime, e i tuoi assassini?
Non mi apposto dietro un cespuglio in attesa che una coppia si fermi ad amoreggiare come farebbe il Mostro di Firenze (che, spoiler, non sono io). Li seguo. Devo sapere chi sono e devo conoscerli nella loro quotidianità. Devo immedesimarmi e affezionarmi a loro, perché solo così potranno farlo anche i lettori. E quando la mannaia del killer reciderà il cordone ombelicale della loro vita, farà davvero male. Per gli assassini è più facile. Vado a cercare il mio lato oscuro, il mio Mr. Hide, il mio doppelganger malvagio e lo interrogo. Non è difficile, i mostri sono sempre molto narcisisti e amano parlare di sé. Oppure mi guardo in giro dove è pieno di serial killer, criminali e mostri di ogni risma.
Qual é il tuo modus operandi?
Lego, torturo, uccido. Mentre faccio altro, magari mentre disegno o lavo i piatti, oppure mentre costruisco un castello di Harry Potter della Lego, immagino le situazioni che si svolgeranno nella mia storia. Cerco la documentazione per dare sostegno alla mia trama e a volte capita di scoprire qualcosa di inaspettato che fa cambiare tragitto e destinazione alla storia. Mi appunto tutto su un quaderno e cerco di legare insieme le situazioni e i fatti. Alla fine elimino quello che non è necessario e magari taglio qualche personaggio superfluo. Terminata la prima bozza rileggo e rileggo, soprattutto per limare i dialoghi, che nei fumetti sono una parte davvero fondamentale. A questo punto invio all'editore e quella, per me, è davvero una piccola morte, perché vorrei continuare a correggere i miei testi in eterno. Come una pena da espiare all'inferno.
Chi sono i tuoi complici?
Ho avuto numerosi "compagni di merende" in carne ed ossa: Andrea Polidori, Francesco Matteuzzi e un certo Mauro Smocovich, un tipo losco, quasi una presenza oscura che è bene non evocare. Poi ci sono i complici inconsapevoli, le mie letture, gli audiolibri che ascolto, le conferenze, qualche youtuber e i testi di alcune canzoni. Ognuno ci mette del suo e fa scattare il meccanismo della creazione.
Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla!
Loro non lo sanno, ma dopo le presentazioni li seguo fino a casa. Non se ne accorgono ma entro di soppiatto e li spio a lungo. Per questo, cari lettori, dovete sempre parlare bene delle mie pubblicazioni, perché vi sto ascoltando. A parte le mie fantasiose perversioni, ho un bellissimo rapporto coi lettori e molti sono anche diventati amici. È bellissimo ricevere mail di persone che hanno recuperato i miei fumetti scritti vent'anni fa e mi fanno oggi i complimenti. È come se avessi sconfitto il tempo e lo spazio.
Che messaggio vuoi dare con le tue opere?
Se volessi mandare un messaggio userei Whatsapp. Seriamente (almeno alla fine di questo interrogatorio) io non ho messaggi da dare a chi mi legge. Voglio raccontargli delle storie che riescano a restargli dentro, in un modo o nell'altro. Voglio intrattenerli ma anche inquietarli; magari indurli a pensare e, in qualche caso, ad approfondire alcuni argomenti. Ma quello che cerco soprattutto dalla scrittura è dare la vita ai miei personaggi. Sono un vecchio con dentro un bambino che vuole continuare a giocare e ha una terribile sindrome di Dio.
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