Il romanzo è diviso in sette capitoli che raccontano le azioni insignificanti di un uomo apparentemente di successo ma che conduce una vita “inautentica”, fondata sul mascheramento. Il protagonista, Chabot, è un uomo come tanti, con luci pubbliche e ombre private. Cattedratico di ginecologia, clinico illustre e proprietario di cliniche private, ha una maschera in clinica con le pazienti, un’altra in famiglia, un’altra ancora con la sua segretaria-amante-autista. Una vita perfetta, un uomo gentile e disponibile all’apparenza. Tuttavia non fa una piega quando la sua segretaria, forse gelosa, licenzia un’inserviente della clinica, da lui violentata più volte e resa incinta: l’orsacchiotto, appunto, che dà il titolo al romanzo. La ragazza tenta un colloquio con lui e non ottenendolo, si butta nella Senna. Nessun rimorso sembra scuoterlo fino a quando intravede dalle finestre della clinica un giovane uomo sconosciuto che lo osserva insistentemente. Collega la presenza del giovane alla morte della ragazza. Qualcosa nel meccanismo ben oliato che ha caratterizzato la sua vita fino a quel momento s’inceppa: Chabot non si sente più l’uomo di prima, sicuro in ogni suo gesto. Un sottile malessere, un misto di incertezza e paura, si impadronisce di lui e va a aumentare un’inesorabile voglia di annullamento lo assale. L’alcool è il suo amico segreto a cui ricorre sempre più frequentemente. Percepisce la deriva e la falsità della sua esistenza e di quella di tutti coloro che lo circondano.
Un tema ricorrente in ogni capitolo è l’assillo di Chabot su cosa riferiranno i testimonieranno le persone incontrate prima di compiere il gesto estremo, come ricostruiranno la sua personalità attraverso gesti e parole, cosa riferiranno del suo comportamento.
La parte mirabile del romanzo è la descrizione del suo girovagare nella notte parigina alla ricerca della spinta verso l’annientamento. Va a trovare la madre, chiusa e fiera del suo umile passato ed estranea da sempre alla vita del figlio, va a casa del cognato dove trova una serie di maschere, a tratti grottesche, a tratti abiette, ma tutte inquietanti come le Figure nere di Goya. Fugge ancora e nelle strade deserte incontra altre maschere notturne di sfruttatori e prostitute. Approda infine in casa di un antico compagno di università per farsi visitare ma in realtà è per lanciare segnali dell’avviarsi verso l’evento finale. Quando ormai sembra che tutto stia per compiersi sotto il segno dell’inuttabilità, Simenon fa fare una deviazione al suo personaggio che troverà, nel crimine, la liberazione dai suoi incubi. Lo stile narrativo è essenziale, senza fronzoli inutili, i personaggi colti nella loro essenza con pochi tratti e poche parole: il gioco è soprattutto nel guardare sé stessi, come in uno specchio.
Un capolavoro di indagine delle forze oscure e del mistero che caratterizza ogni essere umano, anche quello più comune.
“Fu questione di pochi secondi, ma fu in quel momento che Chabot scoprì il vero significato del suo lungo e angoscioso percorso. Aveva sempre esitato a compiere quel gesto. Aveva esitato per tutto il giorno, come se cercasse un’impossibile soluzione di riserva. Ed ecco che quella soluzione gli veniva offerta. Non aveva più bisogno di uccidersi. Non aveva più bisogno di ricorrere all’amico Barnacle. Altri se ne sarebbero occupati, anche di interrogare la serie dei testimoni, che avrebbe avuto finalmente un senso.” (p. 146)
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