Bologna, 12 ottobre 2005
“Si tende a giustificare l’importanza del noir. Si dice che è importante perché racconta la realtà, e in parte è vero. Si dice che è importante perché può supplire il giornalismo investigativo, d’inchiesta, e in parte è vero. Ma non credo che il noir debba soltanto "servire a...", il noir deve aspirare a qualcosa di più alto, a essere letteratura al di là del genere. Il noir deve tendere al romanzo”.
Lo dice Luigi Bernardi introducendo La porta degli innocenti, l’ultimo romanzo di Valter Binaghi, il terzo partorito dallo scrittore bluesman, il secondo di una di una trilogia sull’adolescenza che si concluderà col prossimo romanzo.
È una presentazione molto estemporanea. I due scrittori non hanno avuto il tempo di concordare alcunché; Binaghi è arrivato con mezz’ora di ritardo, causa autostrade a pezzi. A ogni modo, di questa estemporaneità la presentazione ne gode. Tutto è ovviamente molto più spontaneo, più, è proprio il caso di dirlo, sanguigno...
Binaghi legge dei passi tratti dal suo libro, cerca di fare sentire il ritmo della narrazione. Ed è nota la sua passione per la musica, tanto che ama portare in giro i propri scritti con dei reading accompagnati dalla sua band.
Se il romanzo precedente era un blues, questo è un rock, eh Valter?, chiede Bernardi. Binaghi conferma, sottolineando la cupezza della Porta degli innocenti: “se Robinia Blues era un’elegia, questo è un dramma”.
La genesi del romanzo è dovuta a due fatti di cronaca che hanno colpito l’immaginario dell’autore: i primi episodi di lanci di sassi dal cavalcavia e l’omicidio di Desirè Piovanelli, entrambi riconducibili al tema centrale del romanzo: l’adolescenza. Un età che lo scrittore definisce come “un’opportunità metafisica” che, se non vissuta totalmente, se deprivata o alterata, può divenire una condanna a vita e sfociare nella paranoia. Da qui “il dramma di una società che schiaccia gli adolescenti”, confinandoli spesso al solo ruolo di attori di giochi virtuali.
Quindi, in una società mediatica in cui “il gioco diventa realtà e la realtà diventa gioco” si comprende bene come si possa attuare la spettacolarizzazione del crimine. Binaghi indica come profeta di questa era Guy Debord. E ha ragione. Di questi tempi, andarsi a leggere o a rileggere La società dello spettacolo sarebbe cosa buona e giusta.
A proposito di profeti, Valter Binaghi cita a più riprese Philip K. Dick, sottolineandone la straordinaria capacità – “senza eguali” - di anticipare i tempi. Al sottoscritto viene subito in mente 1984 e lo butta nella mischia – E George Orwell, dove lo mettiamo? Binaghi riconosce a Orwell capacità profetiche sulla politica, ma non sulla psiche: “in Dick non si può distinguere tra la realtà e l’immaginazione”.
Altri scrittori e influenze.
Georges Simenon?
“Grande e terribile. È bravo, ma ha una visione del mondo troppo deprimente."
William Golding?
“Sicuramente Il signore delle mosche coglie aspetti dell’innocenza che condivido, anche se i ragazzi protagonisti del suo romanzo sono degli strumenti per esplicare la sua visione politica”.
A questo punto appare chiaro che La porta degli innocenti è un romanzo sull’adolescenza e non soltanto con degli adolescenti come protagonisti. La differenza può sembrare sottile, ma è sostanziale.
Valter Binaghi sfoglia il libro e legge un altro brano: è la descrizione di un talk show televisivo. Un delirio. Ci sono tutte le maschere e i personaggi tipici di certi programmi, come per esempio lo psichiatra e i rappresentanti di governo e opposizione. Il riferimento è palese. Carico il colpo in canna e sparo – Andrebbe mai da Vespa?
Binaghi scuote il capoccione: “Mai.”
Si finisce parlando della nostra Italietta, del nostro amato, odiato, vituperato, decadente (aggiungete un aggettivo o un participio passato a vostra scelta) paese.
Chiudo con una frase di Valter Binaghi che, credo, oltre a fare la felicità di Luigi Bernardi, la dice lunga: “L’Italia è provincia più che città, anche se facciamo finta di non saperlo”.
Bibliografia:
1) Valter Binaghi, La porta degli innocenti, Dario Flaccovio Editore, 2005
2) Guy Debord, La società dello spettacolo, Baldini-Castoldi Dalai, 2001
3) George Orwell, 1984, Mondadori, 2002
4) William Golding, Il signore delle mosche, Mondadori, 2001
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