Dove sei quando scrivi? Sia fisicamente che mentalmente
Quando scrivo sono nella stanza dello studio di casa mia. Se invece mi trovo a casa di mia madre per qualche giorno, sfrutto la vecchia postazione di mio padre, nel salotto dove un tempo giocavo, studiavo, guardavo la tv e divoravo dischi e fumetti. Non posso stare in posti diversi, né col portatile, né con penna e quaderno: devo stare completamente solo. Mentalmente, il luogo è ovunque si muovano i miei personaggi. Do loro una casa, dopo aver verificato che la posizione geografica (negli ultimi anni il mio teatro esclusivo è Roma) e l’esposizione solare mi risultino aderenti all’atmosfera che desidero creare.
Come scegli le tue vittime, e i tuoi assassini?
Tre classi di vittime: quelle casuali e anonime determinate dal modus operandi dell’assassino o del mostro. Che fanno il colore base del racconto. Poi ci sono i mostri stessi, fantabiologici o morali, soggetti portanti del tema storico, vittime del destino infame. E infine, le vittime dirette, il complemento oggetto del mostro. Queste, in generale, rappresentano i personaggi principali del racconto, lo specchio inverso del prodigioso mostro che dovranno affrontare nel bene e nel male. Esse sono il paesaggio concettuale della storia.
Qual è il tuo modus operandi?
Cerco di stupire me stesso. Non voglio mai lo stesso show.
Chi sono i tuoi complici?
Saggistica criminale, scientifica, psicologica; sciamanesimo, zoologia, biografie, perversioni sessuali.
Che rapporti hai con i tuoi lettori e le tue lettrici? Avanti, parla!
Un rapporto confidenziale e ovviamente vissuto in qualità di amicizia, nonostante sia impossibile per me la presenza costante. Le lettrici e i lettori sono la mia bussola. E il mio terrore quotidiano: non devo deludere mai.
Che messaggio vuoi dare con le tue opere?
Mai sottovalutare le persone, le situazioni, le circostanze.
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