Una serie di delitti ruota attorno a un centro di bellezza.
Cosa spinge l’assassino ad uccidere?
Lorenzo Danon, figlio del produttore del film, nell’interessante intervista contenuta tra gli extra del Dvd ammette senza problemi che La tarantola dal ventre nero nacque come tentativo di sfruttare il successo del filone “lanciato” da Dario Argento con il suo L’uccello dalle piume di cristallo (1970). E in effetti la pellicola di Cavara mostra, a partire dal titolo, un forte debito nei confronti della matrice argentiana, pur non riuscendo a riprodurre le atmosfere da brivido e il senso di minaccia incombente che caratterizzavano il thriller di Argento.
A un’analisi sia pure superficiale, sono veramente tanti i topoi – di discendenza a volte baviana – codificati dal regista romano che vengono riproposti qua e là all’interno del film: come il killer vestito di nero, con cappello e guanti, o un dettaglio che deve essere “messo a fuoco” per rivelare un indizio importante, o ancora, le false piste che portano fuori strada lo spettatore.
Anche la trama e la spiegazione finale non brillano per originalità, però la grande cura formale dell’opera e alcune scene di innegabile fascino visivo – come l’omicidio tra i manichini, girato con macchina a spalla - contribuiscono a sollevare la pellicola di Paolo Cavara dalla mediocritas molto poco aurea di tanti prodotti analoghi del thrilling all’italiana.
Cast di alto livello, che però non giova troppo alla riuscita del film, con un’interpretazione non proprio memorabile di Giancarlo Giannini nei panni del commissario che conduce le indagini. Mozzafiato in compenso la sequenza di apertura, con una giovane Barbara Bouchet sul lettino di un massaggiatore in versione nature.
Extra
intervista a Lorenzo Danon; galleria di immagini
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